Una metropoli, già sperimentatrice del primo centrosinistra negli anni Sessanta (Milano), diventata roccaforte del centrodestra per buona parte della Seconda Repubblica, è oggi amministrata dal centrosinistra; l’altra, la Capitale, più di centrodestra ma anch’essa (come Milano) governata da giunte comunali di sinistra nel decennio che inizia nel ’75-’76 è passata al centrodestra nel 2008 per cambiare nel 2013 e arrivare infine all’amministrazione dei Cinquestelle
di Luca Tentoni*
Quando si votò per il referendum istituzionale e per l’Assemblea Costituente, il 2 giugno 1946, Roma e Milano avevano un peso – sul piano elettorale – quasi identico. Nella Capitale gli elettori sfioravano il milione di unità (970mila), mentre nel capoluogo lombardo si fermavano poco oltre quota 860mila. Quella differenza (oscillante fra l’11 e il 13% a favore di Roma) rimase sugli stessi livelli nel 1948; dal 1953 al 1963 salì fino al 26% (315 mila elettori in più nella Capitale) per impennarsi fra il 1968 e il 1992. Nel 1996 gli elettori romani erano il doppio dei milanesi; oggi ci sono 228 aventi diritto al voto nella Capitale per ogni 100 che possono votare nel capoluogo lombardo. In sintesi, il corpo elettorale milanese, in 72 anni, è cresciuto solo di 87mila unità, mentre quello romano ha visto aggiungersi ben 1.192.000 elettori (il rapporto, quindi, è oggi di 2,16 milioni a 0,94 in favore di Roma).
C’è anche da dire che il voto dei romani è quasi sempre stato dominante – numericamente – su quello degli altri abitanti della regione Lazio: dopo aver raggiunto, nel ’72, il 59% degli elettori totali, nel 2013 i romani hanno costituito “solo” il 48% di quelli laziali. Per contro, Milano ha sempre avuto un peso elettorale modesto rispetto alla regione Lombardia, oscillando fra il 20 e il 23% fra il 1946 e il 1976, per diminuire sino al 13% dell’ultimo decennio. Alcune caratteristiche hanno contrassegnato la storia delle due metropoli italiane. Nel nostro breve excursus il raffronto delle percentuali di voto non sarà quasi mai col totale nazionale, ma fra i due comuni. Nella Prima Repubblica, Roma era la città con la minor volatilità elettorale relativa, soprattutto nel 1953, 1958, 1968 e nel 1983-1992, mentre Milano era più “vivace” nel cambiamento di voto. Questa tendenza si è invertita nella Seconda Repubblica: dal 1994, per quattro elezioni su sette (1994, 2001, 2006, 2013), nella Capitale la volatilità è stata molto più alta che nel capoluogo lombardo.
In comune, le due metropoli hanno avuto una Dc debole, quasi sempre al di sotto del dato nazionale (tranne che a Roma nel 1948, dove ebbe il 51,1%; fu l’unico caso in dodici elezioni nazionali): nella Capitale i democristiani (fatta eccezione per il ’48) oscillarono fra il 28 e il 34% dal 1946 al 1992, chiudendo al 27,5% nel 1994; a Milano (anche qui, escludendo il 1948) lo scudocrociato ebbe un andamento più altalenante, dal 26,4% del 1946 al 33,5% del 1953, per scendere al 30% del ’58, crollare al 22,6% nel 1963 e risalire a quota 28% nel periodo 1968-’72, prima di conoscere l’ultimo buon risultato nelle fatidiche elezioni del 1976 (33,2%) e poi declinare fino al 22% del 1987 e al 16,3% del 1992. Dal canto suo, il Pci ha quasi sempre riscosso percentuali maggiori di consenso a Roma che a Milano, dal 1953 in poi, toccando quota 35,8% nella Capitale (dove sorpassò la Dc); per contro, i comunisti milanesi (fatta eccezione per l’esperienza del Fronte popolare nel 1948) non arrivarono al 25% fino al 1976 (quando ebbero il 31,7%, contro il 34,4% nazionale e il 33,2% locale della Dc), per attestarsi su quota 27-28% nel ’79-’83, scendere al 23% circa del 1987 e arrivare (come Pds) al 13,8% del 1992 (sorpassati dalla Lega Lombarda – 18,1% – ma non dal Psi, sceso al 13,2%).
Se raggruppiamo i partiti della Prima repubblica in tre “famiglie politiche” (Centro: Dc, Pri, Pli; Sinistra: Pci, Psi, Psdi, Radicali, Verdi, Psiup, altri; Destra: Msi, Monarchici, Uq) ci accorgiamo che fra il 1946 e il 1992 Milano è sempre stata caratterizzata da una maggioranza assoluta (1946, 1976, 1979, 1987) o relativa (1948, 1953-1972, 1983, 1992) di sinistra, mentre Roma ha visto prevalere i centristi fino al 1968 e la sinistra dal 1976 al 1992 (con tanto di maggioranza assoluta nel 1976, 1979, 1987). La caratteristica di Roma, però, è la sovrarappresentazione dei partiti di destra, che nel 1946, 1953 e 1958 superano il 20% dei voti, ma non scendono mai sotto il 9% (tranne che nel 1948); a Milano, invece, vanno oltre il 10% solo in tre occasioni (1953, 1958, 1972). C’è poi un dato riguardante i socialisti (Psi e Psdi), che a Roma ottengono sempre risultati peggiori rispetto a Milano. In sintesi, si può affermare che nella Prima Repubblica Roma è una città dove si alterna una fase centrista ad una di sinistra, ma dove i missini sono molto forti, mentre Milano è strutturalmente più spostata a sinistra, ma con una forte componente “riformista” e un Pci sotto la media. Un discorso a parte meritano liberali e repubblicani, che (eccetto il successo del Pri a Roma nel 1946 – secondo partito della città – e del 1948) nella Capitale ottengono sempre percentuali di voti più basse che a Milano: nel 1983, per esempio, i due partiti hanno complessivamente l’8% dei voti a livello nazionale, ma “solo” l’8,8% nella Capitale, mentre nel capoluogo lombardo arrivano al 18,5% (il Pri – 12,3% – sorpassa il Psi, fermo all’11,1%).
La maggior volatilità elettorale milanese può essere messa in connessione con la forza dei partiti di un’eterogenea “area laico-socialista” (Psi, Pri, Psdi, Pli, Radicali, Verdi). Anche se socialisti e liberali sono incompatibili fra loro per i primi 30 anni della Repubblica, è però un fatto che le “terze forze” non monarchico-missine abbiano avuto a Milano il 40,4% dei voti nel 1946, il 30,4% nel 1953, addirittura il 47,8% nel 1963 (con Psi e Pli fortissimi, entrambi a quota 18%) e comunque sempre fra il 33% e il 40% fra il 1968 e il 1992 (ad eccezione del picco negativo del 1976 – 25,7% – quando la polarizzazione Dc-Pci si fa valere). A Roma questo fenomeno è stato estremamente contenuto: i partiti di un’ipotetica “terza forza” hanno raggiunto il 30% solo nel 1963 (cioè quando Pli e Psi erano separati da un abisso ideologico), restando fra il 22 e il 29% per il resto della Prima Repubblica (con l’eccezione del 1946 – 32,8% – e del 1976, 18%). Ciò non ha influito sui risultati del Partito radicale, ottimi in entrambi le metropoli. In quanto all’indice di bipartitismo, Roma ha prevalso su Milano in undici occasioni su dodici (tranne che nel 1946), a riprova che la minor volatilità del voto romano ha rafforzato il duopolio Dc-Pci (nella Capitale i comunisti dominano lo scenario della sinistra, mentre a Milano i rapporti di forza sono meno marcati).
Nella Seconda Repubblica Roma si conferma più portata verso il bipartitismo: in sette elezioni, gli indici sono più alti a Milano solo nel 2001 e nel 2006. Però la Capitale diventa, dal 1994, una città dove il voto è più “volubile”, come si accennava in precedenza. Dal 1994, la Milano tendente a sinistra si risveglia a destra: 52,5% a FI, AN e Lega. La CDL mantiene il primato cittadino alle politiche fino al 2013, quando lo cede ad una sinistra ormai in declino. Le costanti del voto romano, durante il quarto di secolo della Seconda Repubblica, sono rappresentate dalla debolezza di Forza Italia (arriva al massimo al 21,8% nel 2001), dagli ottimi risultati di AN (primo partito cittadino fra il 1994 e il 2001), dalle buone prestazioni di Pds-Ds, Margherita e poi del Pd (nel 2008: 41%), così come, da un più ampio consenso al M5S nel 2013 (27,3% contro il 17% milanese) e nel 2018 (31,1% contro 18,4%). Il successo della destra romana rispetto a quella milanese è una diretta eredità del Msi, che passa ad An nel ’94 e, dal 2008, prima alla Destra e infine a Fratelli d’Italia.
A Roma il bipartitismo è stato imperniato sulla lotta fra An (primo nel ’94, ’96, 2001) e Pds-Ds (’94-’96) o FI (2001), poi ancora da An-Ulivo (2006), Pdl-Pd (2008), Pd-M5S (2013-’18). Quello meneghino, invece, ha visto FI-Pdl al primo posto fra il ’94 e il 2013 (al secondo nel 2006), contro la Lega (1994), i Ds (1996), la Margherita (2001), l’Ulivo (2006, primo posto), il Pd (2008-’13). Nel 2018, però, come a Roma, i due partiti maggiori sono stati Pd e M5S. Il voto di Milano si caratterizza per i costanti successi di Forza Italia (che oscilla fra il 28,5% del 1994 e del 2006 e il 34,9% del 2001) ai quali segue il declino (20% nel 2013, Pdl; 15,2% nel 2018, FI) e dai non eccezionali risultati cittadini della Lega (16% nel ’94, ma 12,1% nel ’96, poi 4,8% e 5,1% nel 2001-2006, 12,3% nel 2008, 6,3% nel 2013; il 16,8% del 2018 si avvicina al dato nazionale, ma non riesce a superarlo), tratto tipico dei capoluoghi di regione (in contrapposizione con i centri minori, dove il Carroccio ottiene percentuali di consenso ragguardevoli); c’è poi da notare che la destra milanese non sfonda, proprio come nella Prima Repubblica (AN oscilla fra l’8 e l’12%, fra il ’94 e il 2006), infine, i partiti di centrosinistra vanno meno bene che a Roma (Pds-Ds fra il 14 e il 18% fra il ’94 e il 2001; Ulivo-Pd fra il 29% del 2006 e del 2013 e il 33,7% del 2008) ma nel 2018 il Pd resta al 26,8%, diventando il primo partito cittadino (con l’alleata Bonino che arriva all’8%, contro il 4,8% di Roma); infine, il M5S non va oltre il 18,4% neppure nel 2018. Roma e Milano, insomma, sono sempre state diverse in tutto: nel numero di elettori; nella differente percentuale ottenuta dalla Repubblica (molto più forte a Milano che a Roma) nel ’46; nella prevalenza di una o di un’altra famiglia politica; nei rapporti fra Dc e destra e fra Pci e sinistra; nel peso numerico degli aventi diritto al voto; nella volatilità elettorale e nel bipartitismo; nel ruolo dei laici; nelle prestazioni del M5S. Una metropoli, già sperimentatrice del primo centrosinistra negli anni Sessanta (Milano), diventata roccaforte del centrodestra per buona parte della Seconda Repubblica, è oggi amministrata dal centrosinistra; l’altra, la Capitale, più di centrodestra ma anch’essa (come Milano) governata da giunte comunali di sinistra nel decennio che inizia nel ’75-’76, quindi – superato il decennio del pentapartito – per quasi vent’anni dal centrosinistra, è passata al centrodestra nel 2008 per cambiare nel 2013 (Marino, sindaco Pd) e arrivare infine, dopo un nuovo voto, all’amministrazione dei Cinquestelle.
(*) Analista politico, editorialista, autore del volume “Capitali regionali” (Il Mulino, 2018)