Roberto Gualtieri, classe ’66, è il candidato in pectore del Partito Democratico per la poltrona di Sindaco di Roma. L’ex ministro dell’Economia del governo Conte dovrebbe rompere gli indugi nelle prossime ore e annunciare la disponibilità a correre per la sfida elettorale più difficile, che arriva in un momento chiave della vita economica e politica del nostro Paese. Una sfida avvincente, di quelle che piacciono a Roberto Gualtieri, che del resto è un piccolo amuleto per il segretario Nicola Zingaretti, in quanto rappresenta uno dei (pochi, per la verità) successi che il presidente della regione Lazio può vantare da quando è alla guida del Nazareno. Ci riferiamo ovviamente alle suppletive di un anno fa, quando l’allora ministro dell’economia si candidò nel collegio di Roma centro per sostituire Paolo Gentiloni, dimessosi da deputato per andare a ricoprire la carica di commissario europeo. In quell’occasione, era il 1 marzo 2020 a pochi giorni dal lockdown, Gualtieri ottenne oltre il 62% delle preferenze rispetto al 26% del centrodestra e al misero 5% raccolto dal m5s in un collegio, va ricordato, che storicamente è sempre stato appannaggio dei Dem.
Il profilo di Gualtieri risponde ai requisiti cercati da Zingaretti per impedire, con la scusa del covid, le primarie del centrosinistra, nonostante queste siano state un cavallo di battaglia delle ultime, spesso perdenti, sfide elettorali. Docente di storia contemporanea alla Sapienza, Gualtieri è romano, ha ricoperto incarichi nei Ds (è stato anche nella segreteria romana del partito), è un uomo nato, cresciuto e radicato nei valori progressisti ma allo stesso tempo è visto come un moderato che piace, così dicono, anche dall’altra parte del Tevere dove sono ancora traumatizzati dall’esperienza Marino e certo non vorrebbero un nuovo Marziano sul colle capitolino.
Quella dell’ex titolare del Mef è una candidatura che dovrebbe rafforzare l’alleanza di governo dove Pd e Leu governano insieme e dove anche partiti come i Radicali o la sinistra di Sel potrebbero ritrovarsi per una riproposizione, ci scusiamo con gli scaramantici, dell’Ulivo di prodiana memoria. Sulla sua candidatura molto potrebbe pesare il ruolo giocato come ministro in un governo come quello giallorosso che nei confronti della Capitale è stato tutt’altro che generoso.
Su Gualtieri potrebbe ricompattarsi anche una grande fetta moderata della città, quella rappresentata dalle associazioni di categoria e dalle piccole imprese che spesso hanno guardato a sinistra alla ricerca di personaggi dal curriculum importante come lo è certamente quello dell’ex ministro dell’economia. Sullo sfondo e non di poco peso, la posizione di Carlo Calenda che alla domanda su un eventuale ritiro della sua candidatura in presenza di Gualtieri ha risposto con un destrissimo “me ne frego!”. Quanto Calenda sia in grado di distrarre consenso dal Pd è difficile da misurarlo anche se il leader di Azione la sua campagna elettorale l’ha già avviata da qualche mese, quasi all’insaputa dei romani.
La scelta di Zingaretti nasce, infine, sulla speranza di convincere il M5S a mollare Virginia Raggi per riproporre un fronte anti destra e riprendersi la roccaforte del Campidoglio, con l’obiettivo di rafforzare il governo Draghi e traghettare questa difficile legislatura verso il 2023. Progetti e utopie tutte da scrivere, come la decisione di Virginia Raggi che di diritto rivendica una seconda possibilità, con o senza simbolo 5 stelle lei, ha giurato, ci sarà. Costi quel che costi. In attesa che Beppe Grillo e la Casaleggio associati decidano il futuro romano del partito e della sindaca, spostandosi a destra il nome di Andrea Abodi, anche qui, pare sia sul punto di sciogliere la riserva.
Quella del Campidoglio sarà il primo appuntamento elettorale per un governo Draghi costruito su una vasta alleanza che tuttavia non replicherà quasi certamente i rapporti nello scacchiere capitolino dove, per esempio, è tutta da definire l’alleanza di Fdi con Lega e Forza Italia. Dopo lo strappo di Berlusconi e Salvini entrati candidamente nel governo di tutti, è difficile immaginare che Giorgia Meloni, nella sua Roma, possa decidere di condividere in qualche modo le redini di una campagna elettorale sulla quale, mai come stavolta, si giocheranno i futuri equilibri del Paese.