C’è molta attesa per l’esito del ricorso ai tribunali presentato da un pool di esperti
Proprio mentre il cosiddetto “Rosatellum 2.0” si appresta, non senza difficoltà, ad incardinarsi alla Camera e al netto delle numerose perplessità espresse anche dall’area renziana del Pd, nei palazzi romani si prepara un nuovo stravolgimento dell’attuale legge elettorale, frutto non già di un testo votato dal Parlamento ma di un raffinatissimo lavoro di taglia e cuci operato dalla Corte Costituzionale.
Come era già accaduto a gennaio, Vincenzo Palumbo, storico ex senatore liberale, assieme ad un pool composto, tra gli altri, dal prof. Alfonso Celotto e da Tommaso Magaudda, saranno in prima fila per affossare ciò che rimane del vecchio testo, soprattutto nella parte che riguarda gli sbarramenti. Pochi giorni fa, durante un colloquio con la testata ofcs.report, proprio Palumbo ha svelato in anteprima la strategia che il gruppo di ricorrenti seguirà nei ricorsi ai tribunali e, dopo, davanti alla Consulta.
Il primo della lunga lista dei punti critici è quello che riguarda gli sbarramenti. La soglia dell’8% al Senato e del 3% alla Camera violerebbe, secondo i ricorrenti, il principio costituzionale della rappresentatività in favore di un altro principio, quello della governabilità, il quale non solo sarebbe estraneo ai dettami costituzionali ma che, calato in questo meccanismo, risulterebbe addirittura fuori luogo. Se infatti, secondo Palumbo, il Senato è chiamato ad eleggere circa la metà dei parlamentari rispetto alla Camera, semmai, sarebbe stato più logico l’inverso. Non solo. Un altro nodo fondamentale della matassa che la Corte, in caso di ammissibilità del quesito, dovrà sciogliere riguarda le pluricandidature. “Se ammesse per i capilista perché dovrebbero essere interdette a chi non lo è?” nota Palumbo. Ancora. Le tecniche parlamentari adottate in sede di discussione e di approvazione, secondo l’ex senatore, presterebbero il fianco a numerosi profili di illegittimità costituzionale che, se dichiarata, farebbe addirittura rivivere il Porcellum (ma quello corretto dalla Corte nel 2014). Il ricorso, infatti, verterà anche sul “supercanguro” adottato durante la discussione in Aula alla Camera che ha, praticamente, affossato la possibilità di esaminare i moltissimi emendamenti allora presentati. E, andando più indietro, secondo Palumbo, sarebbe stato addirittura violato il principio del divieto del mandato imperativo sancito dall’art. 67 che concede al parlamentare la libertà di votare secondo coscienza e non secondo le direttive del proprio partito. Tale violazione si sarebbe perpetrata quando non pochi esponenti riottosi della maggioranza furono sostituiti nelle commissioni da altri parlamentari più ligi alla linea del partito. Infine, tra gli altri punti, vi è quello della questione di fiducia, posta per accelerare i tempi e votata non in appello nominale, come era stato richiesto, ma con scrutinio segreto.
La palla, ora, passa di nuovo alla Corte. E le sorprese non mancheranno. Rosatellum permettendo.