Stefano Scarpetta (Ocse) fa il punto nel corso di una audizione alla Camera. Salari minimi settoriali superiori ai minimi nazionali
di Valentina Magri
Risoluzioni relative all’introduzione di un salario minimo in Italia al centro dei lavori della Commissione Lavoro della Camera. Al riguardo, ieri, si è tenuta l’audizione del direttore della direzione per l’occupazione, il lavoro e gli affari sociali dell’Ocse, Stefano Scarpetta, ex membro commissione indipendente per il salario minimo in Francia. E nell’occasione è stato tracciato un quadro molto chiaro sull’applicazione di questo strumento a livello internazionale, comparandone le diverse caratteristiche. Per la cronaca, risulta applicato dal 90% dei Paesi Onu e dall’80% di quelli Ocse.
In ogni caso, per capire il possibile impatto sull’occupazione del salario minimo, quest’ultimo deve essere rapportato al salario mediano: l’evidenza empirica dice che se il primo è pari al 40-50%, non ha un impatto negativo sull’occupazione. A livello mondiale, si va da un salario minimo pari al 30% del salario mediano negli Usa a uno superiore al 70% in Turchia.
Diversi sono i meccanismi di fissazione e rivalorizzazione del salario minimo, a seconda dei Paesi. Il salario minimo è usato soprattutto nei Paesi anglosassoni, dove la copertura dei contratti collettivi è bassa. Inoltre, ha un ruolo cruciale nei Paesi emergenti o in via di sviluppo, dove gli strumenti di welfare a disposizione sono inferiori.
E in Italia? Il salario minimo nazionale non esiste, così come in altri paesi Ocse come Austria, Danimarca, Islanda, Norvegia, Svezia, Svizzera. Da noi vigono i minimi settoriali, stabiliti da 868 accordi in materia, che coprono il 96-99% dei lavoratori secondo le stime Ocse. I minimi settoriali nel Belpaese sono pari al 65-80% dei salari mediani, con ampia variabilità tra settori e regioni.
Scarpetta ha ricordato che solitamente i minimi settoriali sono superiori ai salari minimi nazionali. Però allo stesso tempo, sono in espansione in tutti i paesi Ocse delle nuove forme di lavoro dipendente e indipendente (quelli della gig economy), di cui non si hanno molti dati. I lavori indipendenti dal punto di vista contrattuale, ma dipendenti da piattaforme online nella sostanza – come nel caso degli autisti di Uber – in alcuni casi si affiancano ad altri lavori, in altri costituiscono attività esclusiva e possono essere svolti a livello nazionale o internazionale. In merito, è in discussione in UK nella Commissione Taylor l’inquadramento dei lavoratori di piattaforme e l’equo compenso dei loro lavoratori.
Staremo a vedere se e in che modo il governo italiano si attiverà per introdurre o meno un salario minimo nazionale anche in Italia.