Andrea Garnero (Ocse) commenta con LabParlamento la proposta rilanciata dal PD. La situazione europea, i limiti, la possibile struttura
di Valentina Magri
“La proposta dell’introduzione di un salario minimo da parte del PD è seria e vale la pena valutarla e discuterla. Era già prevista nella legge delega del Jobs act, ma non è stata attuata. Tuttavia, sarebbe più prudente cominciare da un salario basso, per poi avere margine di aumento se necessario e aprire un dibattito basato sulle evidenze empiriche, con possibilità di aggiustamenti in itinere.” Ne è convinto Andrea Garnero, economista del Dipartimento lavoro e affari sociali dell’Ocse.
Sarebbe opportuno introdurre un salario minimo in Italia?
“Esiste nel 90% dei paesi al mondo e nell’80 % dei Paesi UE, tranne che in Italia, Austria e nei paesi nordici, dove i minimi salariali sono stabiliti dai contratti collettivi. Il salario minimo diviene necessario se la contrattazione collettiva perde forza, i sindacati sono deboli e diminuisce la copertura dei contratti collettivi. In Italia non è chiaro lo stato di salute dei contratti collettivi. Sospetto non sia buono e che siano molte persone le persone rimaste “scoperte”. Le cause sono le nuove figure professionali, la moltiplicazione dei contratti (sono oltre 800, di cui solo una minoranza firmata dai tre sindacati confederali), persone sottopagate (il 12% ha uno stipendio inferiore ai minimi), l’uso di contratti alternativi. Questa situazione legittima la discussione sulla necessità di complementare il salario con uno minimo, che funga da rete per salvaguardare coloro che non hanno un minimo salariale stabilito da un contratto collettivo”.
Cosa ne pensa della soglia di 9-10 euro per il salario minimo orario proposta dal PD?
“I contratti collettivi vigenti hanno un salario minimo di 6-7 euro, mentre il salario mediano si aggira attorno a 11.5-12 euro. In altri paesi il salario minimo è attorno al 50% di quello mediano, in Francia è intorno al 60%. A mio avviso un salario minimo è sensato se è attorno a 6-7 euro, anche se servirebbe una commissione ad hoc per stabilirlo. Se fosse attuato della cifra proposta da Renzi, sarebbe un record rispetto agli altri Paesi UE, maggiore ancora di quello della Germania, che ha salari ben maggiori di quelli dell’Italia. Inoltre, un salario minimo di 9-10 euro sarebbe troppo elevato rispetto ai contratti collettivi e quindi li spiazzerebbe: gli imprenditori licenzierebbero, sostituirebbero i lavoratori con le macchine o aumenterebbero i prezzi, con effetti sul potere acquisto e la nostra competitività all’estero. Il dibattito ha senso se partiamo dal principio di valutare l’introduzione di un salario minimo, prima che la sua cifra. Bisogna però tenere a mente che il salario minimo è uno strumento piccolo, semplice, di moda, ma limitato”.
Quali sono i suoi limiti?
“Non basta da solo a combattere la povertà, che dipende anche da quanto si lavora e dalla composizione di una famiglia. Il salario minimo è uno strumento per correggere le deficienze di mercato e aiutare a fare chiarezza nel sistema, perché è difficile per un lavoratore capire se sia pagato il giusto o meno, visto l’eccessivo numero di contratti”.
Alla luce del divario tra Nord e Sud Italia, ha senso introdurre un salario minimo nazionale?
“Questa è un’altra questione da discutere, valutando i pro e i contro. Il salario nazionale cozza con le differenze regionali, però sarebbe complicato attuarlo perché non abbiamo dati aggiornati e affidabili sul costo della vita, che cambia anche all’interno delle regioni (si pensi ai paesini sperduti sulle montagne contro province come Milano). Nei paesi Ocse, il salario minimo regionale è stato varato solo in paesi federali come Stati Uniti, Messico e Giappone. In Europa non ci sono variazioni regionali. Per semplicità, propenderei per un salario minimo nazionale unico”.
Se fosse chiamato a definire le caratteristiche del salario minimo in Italia, come lo strutturerebbe?
“Sarebbe utile un salario minimo nazionale attorno a 6-7, euro con eventuali esenzioni per i giovani o per chi è a inizio carriera, come hanno già fatto altri paesi. Accompagnerei l’introduzione del salario minimo a una campagna di comunicazione chiara sui diritti delle persone per capire l’adeguatezza del loro stipendio, con call center, possibilità di testare il salario ed eventualmente chiedere un’ispezione se si sospetta che non sia in regola. La decisione di un salario minimo non deve essere né politica ne aritmetica, ma presa da una commissione cui partecipino esperti, governo e parti sociali, in modo da fissare il salario minimo a seconda delle situazione”.