Cause ed effetti dei cambiamenti demografici rilevati dall’Istat
di Valentina Magri
Siamo sempre meno e sempre più vecchi. Lo dicono i numeri del Bilancio demografico nazionale del 2016, diffusi nella giornata di ieri dall’Istat.
Secondo l’istituto, la popolazione residente è in calo, in particolare gli italiani (-96.981 residenti). Una diminuzione in parte mitigata dall’aumento degli stranieri che acquistano la cittadinanza italiana (+202 mila). Inoltre, il movimento naturale della popolazione ha registrato un saldo negativo di circa 142 mila unità: significa che i morti sono più dei nuovi nati.
Un calo della popolazione scatenato da vari fattori concomitanti. In primis, il costante calo della natalità sia per le donne italiane che per le straniere a partire dal 2008, anno di scoppio della Grande Recessione. Non è un caso: studi condotti a livello europeo dall’Eurostat (Lanzieri, 2013) suggeriscono l’esistenza di un legame tra crisi economica e calo delle nascite. A ciò si aggiunge il progressivo invecchiamento della popolazione e delle donne in età fertile. Le potenziali madri si sono ridotte per l’uscita dall’età riproduttiva delle baby-boomer, non compensata dalle meno numerose nascite avvenute dalla metà degli anni Settanta.
Un altro fattore dietro al calo della popolazione è la riduzione del numero dei decessi rispetto al 2015 (-32.310 unità). Si tratta, tuttavia, del secondo valore più alto dal 1945 ed è in linea con l’aumento fisiologico dei decessi in una popolazione in progressivo invecchiamento.
Il calo della popolazione italiana non è una buona notizia. La nostra è una delle più vecchie al mondo: secondo il rapporto 2015 delle Nazioni Unite sull’invecchiamento della popolazione, l’Italia è seconda al mondo dopo il Giappone per numero di over 65, pari al 22,4% della popolazione.
I tanti anziani gravano sulle spalle dei pochi giovani: nel 2015 l’indice di dipendenza strutturale (il rapporto tra popolazione non in età lavorativa e persone in età da lavoro) era pari a 55,5 e secondo le previsioni dell’Istat dovrebbe salire a 63,2 nel 2030 e 82,8 nel 2065 (fonte: rapporto “Italia in cifre 2016”). Uno squilibrio demografico che metterà sempre più sotto pressione contemporaneamente i sistemi pensionistico e sanitario, dove sono richieste sempre più pensioni e cure a fronte di meno finanziamenti. Il legislatore ha già spostato in avanti l’età pensionabile con la riforma Fornero e modificato il suo sistema di calcolo con la riforma Dini, ma è ragionevole aspettarsi nuove misure per tirare la cinghia sulle pensioni. Lo stesso vale per il sistema sanitario, finora poco riformato.