Com’è noto, ci sono libri che non risentono del passare del tempo. Alcune storie, anzi, sono come il proverbiale buon vino, e invecchiando riescono addirittura a migliorare.
E’ questo il caso del celebre classico della letteratura fantastica a firma Abraham Merrit, “Il vascello di Ishtar”, annunciato tra le novità del mese di marzo per lo storico editore romano Fanucci(324 pag, 10 Euro).
Qualcuno dirà: ma con tutte le novità interessanti che pure escono nel marasma editoriale, che abbatte foreste per farne volumi anche in tempo di crisi, a che pro tornare su un romanzo che ha quasi cent’anni (è uscito infatti la prima volta nel 1926)? E’ presto detto.
Quante volte avete sentito dire che le storie di avventura, e specialmente quelle fantasy, altro non sono che una poco velata “fuga dalla realtà”? Una critica trita e ritrita, forse fatta persino al vecchio Omero, e che pure ha direttamente a che fare con le vicende del Vascello in questione.
Protagonista ne è infatti l’archeologo americano John Kenton, fresco reduce dalle trincee europee della Grande Guerra. Ha certamente bisogno di pace e ristoro, e un vecchio amico pensa allo scopo di mandargli un dono, una cosetta buona a distrarlo…un antico artefatto babilonese! Ebbene, proprio quel regalo astruso è la via per la più impressionante fuga dal mondo che si sia mai vista: nella pietra coperta di caratteri cuneiformi si nasconde infatti un vascello in miniatura, magica porta per un universo parallelo dove davvero la nave naviga per mari sconosciuti, segnata da un’antica maledizione di divinità rivali.
Il povero Kenton finisce così risucchiato in una dimensione dove sacerdoti babilonesi, maghi, marinai e molti altri non sono più figure incise in un bassorilievo millenario, ma uomini veri, in carne ed ossa. E anche quando – più volte – torna alla sua New York del XX secolo, ecco che scopre come l’altro mondo lo attiri ancora irresistibilmente…
Insomma, la metafora oggi ci appare forse un po’ troppo evidente. Ma non per questo perde la sua potenza immaginifica, consentendo alla fuga di Kenton dal mondo di sovrapporsi in automatico a quella del lettore. Un’altra vita è possibile: mediata dalla magia per l’uno, dalle pagine per l’altro.
Un vagabondaggio attraverso nuovi mondi, insomma, di cui Merrit era non a caso esperto creatore (si pensi al suo “Il Pozzo della Luna”, del 1919 e all’universo sotterraneo, vera Terra Cava, che descrive), e che tuttavia anche – o forse proprio per – la loro natura immaginaria e vicina al Mito, offrono alla coppia di cui sopra, i suoi protagonisti e noi, esattamente quello che il mondo di oggi non vuole più concedere: avventura, esotismo, libertà dalle convezioni sociali.
Quindi sì, ammettiamolo, a volte il fantastico è una fuga. Ma come diceva il buon Professor Tolkien, che di certe cose se ne intendeva, questo non è un male: chi si oppone alla libertà e all’evasione, se non il carceriere?