Pandemia nefasta per i pazienti con disturbi psichici, innanzitutto. Un punto di partenza su cui medici, politici e dirigenti sanitari sembrano concordare. Tanto da spingere l’ex ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, a parlare di un’altra “epidemia strisciante”, causata dalla paura da Covid e lockdown.
Ansie e timori, elementi dominanti che si legano nei soggetti che manifestano disagi più o meno gravi. Situazione che si aggrava anche per il pesantissimo impatto economico sui bilanci delle famiglie e sulle casse del Servizio Sanitario Nazionale. Scenario senza speranza? No, se si lavora in maniera organica partendo da alcuni punti chiave: prevenzione, presa in carico effettiva del paziente, ricerca scientifica e innovazione farmacologica.
Senza contare il piccolo spiraglio che sembra aprirsi, grazie a una crescente fiducia nei confronti dell’efficacia della campagna vaccinale. È quanto emerso dall’incontro “Salute mentale in Regione Lazio – Team multidisciplinare e prospettive future”, patrocinato da SIFO (Società Italiana di Farmacia Ospedaliera e dei Servizi Farmaceutici delle Aziende Farmaceutiche) e con il contributo non condizionante di Otsuka eLundbeck, svoltosi la scorsa settimana a Roma presso il complesso monumentale Santo Spirito in Sassia (Sala Alessandrina).
Un evento in cui, partendo dalla fotografia scattata sulla situazione della regione, si è data ospitalità ai contributi di numerosi esperti e stakeholders (tra i presenti, tra gli altri, il presidente della Commissione Sanità della Regione Lazio, Rodolfo Lena), per delineare una sorta di mission generale da seguire, una road-map da tenere a mente se si intende davvero dare una soluzione efficace a problematiche sempre più complesse.
Le istituzioni. “Non c’è salute senza salute mentale, ci ha ricordato l’Organizzazione Mondiale della Sanità. E questo è tanto più vero in un momento in cui tutti i sistemi sanitari stanno affrontando il contrasto alla pandemia”, ha subito inquadrato l’Assessore alla Sanità e all’Integrazione Socio-Sanitaria della Regione Lazio, Alessio D’Amato, annunciando che “stiamo costruendo un percorso che ci porterà a breve anche ad una Conferenza regionale sulla salute mentale, in cui costruire insieme quello che sarà il Piano regionale della salute mentale”.
A ricordare le “grida di aiuto” giunte dalla Società di psichiatria, dagli psicologi, dagli operatori sul campo, “lamentando la grave situazione, la compromissione della salute di molti ragazzi”, è stata Beatrice Lorenzin, prima firmataria di una mozione parlamentare approvata all’unanimità, lo scorso 16 giugno, in Parlamento. “Speriamo che in questa fase, in cui si discute la Legge di Bilancio, possiamo avere in maniera tangibile, con l’aumento del Fondo sanitario, una maggiore quota di risorse da destinare alla salute mentale – ha auspicato -: per la prevenzione, per la diagnostica, per gli interventi nelle scuole, per il supporto e il sostegno alle reti, per la presa in carico dei pazienti effettiva ed omogenea su tutto il territorio nazionale”.
Gli interventi. “Le diseguaglianze generate dalle conseguenze del lockdown hanno avuto riflessi anche sulla salute mentale, aumentando il disagio psichico soprattutto tra le fasce più fragili della popolazione, con minor accesso alle cure e ai servizi di cui tuttora si avvertono i contraccolpi”. Ad evidenziarlo è stato il prof. Massimo Di Giannantonio (Direttore Dipartimento Salute Mentale Università di Chieti), presidente della Società Italiana di Psichiatria (SIP). “Tuttavia – ha riferito -, stiamo sperimentando i primi segnali di una riduzione di un certo grado di ansia e depressione da pandemia. La popolazione inizia a sentirsi più fiduciosa nei confronti del futuro e sicura di uscire dai catastrofici effetti del Coronavirus, specie ora che sono disponibili i vaccini anti-Covid che fanno sperare di allontanarci dal rischio di nuovi isolamenti e chiusure che tantissimo hanno gravato sulla salute mentale di tutta la comunità, specie degli individui più fragili e già con disagi psichici in partenza”.
La depressione, ha rimarcato dal canto suo il dott. Giuseppe Nicolò (Direttore Dipartimento di Salute Mentale ASL Roma 5), “non va sottovalutata: va riconosciuta precocemente, va individuata con accuratezza e vanno predisposti trattamenti psicoterapici e anche farmacologici quando è necessario trattarla”. “La scienza ha fatto dei passi da gigante in ambito dì nuovi trattamenti farmacologici che sono sempre più tollerabili e agli interventi psicosociali come i social skill training, la cognitive remediation, la terapia cognitivo comportamentale, la psico educazione che devono costituire il trattamento standard per ogni persona affetta da psicosi. Il supporto ai familiari e l’inserimento lavorativo completano lo standard minimo di trattamenti che una persona affetta da psicosi deve ricevere”, ha aggiunto.
Supporto ai familiari che andrebbe dato anche a livello economico. “Oltre ai costi diretti, bisogna considerare anche quelli indiretti”, ha fatto notare Francesco Saverio Mennini, professore di Economia Sanitaria e Economia Politica presso l’università degli Studi di Tor Vergata di Roma e Presidente SIHTA. “I disturbi psichiatrici – ha sottolineato – impattano notevolmente dal punto di vista economico, perché vanno a gravare sui nuclei famigliari all’interno dei quali sono inserite le persone che ne soffrono, sul sistema previdenziale e naturalmente, a cascata, sul Pil: ad esempio, con riferimento alla schizofrenia, i costi indiretti sono superiori a quelli diretti e arrivano a toccare 1,5 miliardi di euro”.
È toccato poi al dott. Massimo Cozza (Direttore Dipartimento Salute Mentale, Asl Roma 2) introdurre nella discussione il “paradigma bio-psico-sociale”. “Importanti sono gli aspetti biologici sui quali, in particolare per gli aspetti biochimici, si può intervenire a partire dalle terapie psicofarmacologiche, così come gli aspetti psicologici – cognitivi che si possono affrontare con interventi di sostegno e psicoterapeutici, e gli aspetti ambientali e situazionali, per i quali si possono attuare percorsi di inclusione sociale e lavoravita, e di Recovery, utilizzando anche lo strumento del budget di salute”, ha riferito.
“Abbiamo bisogno di conoscere quella persona con i suoi disturbi, i suoi sintomi, le sue emozioni, ma soprattutto la sua storia. Abbiamo bisogno di ascoltare. E di mettere in atto i trattamenti appropriati per quel singolo caso. Senza certezze scientifiche pre-costituite e pregiudizi, ma con la consapevolezza che l’obbiettivo– ha puntualizzato Cozza – è la migliore qualità della vita possibile di quella persona”.
Ad affrontare l’argomento “Innovazione farmacologica in schizofrenia e depressione: la terapia dimensionale”è stato infine il dott. Giuseppe Ducci (Direttore Dipartimento di Salute Mentale ASL Roma 1): “La pandemia ha evidenziato l’emergenza di disturbi psichiatrici erratici e gravi, soprattutto nell’ambito della disregolazione emotivo-affettiva: autolesionismo e suicidalità, disturbi cangianti del comportamento alimentare, disturbi del ritmo sonno-veglia, abuso disordinato e multiplo di sostanze e degli smartphone, sessualità promiscua patologica, ed altri”. “ La realtà clinica attuale è quindi quella dei co-occurring disorders e delle dimensioni psicopatologiche vaste, mentre le indicazioni terapeutiche degli psicofarmaci, derivate dagli studi registrativi, mantengono confini categoriali del tutto angusti, superati e inappropriati. Appare pertanto opportuno adeguare la clinica alla realtà psicopatologica emergente attraverso un uso dimensionale degli psicofarmaci e promuovendo al contempo studi di real world che possano sostenere scelte terapeutiche ancora ‘off label’”, ha proseguito.
I punti chiave finali. Personalizzazione della terapia, impatto socioeconomico del farmaco, aderenza alle terapie, integrazione nel percorso terapeutico. Sono i 4 punti chiave da cui si è sviluppata, infine, la Tavola rotonda conclusiva, a cui hanno partecipato: la dott.ssa Roberta Di Turi (Direttore Dipartimento dei Servizi ASL Roma 3), il dott. Fulvio Ferrante (Direttore Dipartimento Diagnostica e Assistenza Farmaceutica ASL Frosinone), il dott. Giampiero Forte (Direttore U.O.C. Farmacia Ospedaliera ASL Roma 5), la dott.ssa Lorella Lombardozzi (Dirigente Area Politica del Farmaco Regione Lazio), la dott.ssa Alessandra Mecozzi (Direttore U.O.C. Farmacia Ospedaliera e verifica Appropriatezza Prescrittiva ASL Roma 2), la dott.ssa Roberta Pavan(Direttore Area del Farmaco ASL Roma 1) e il dott. Gerardo Miceli Sopo (Direttore Dipartimento dei Servizi ASL Roma 2).
1) Personalizzazione terapia. Le cure non sono standard ma vanno declinate sul singolo individuo, in base alla sua storia clinica ed alle sue caratteristiche biologiche. Tuttavia, se questa visione della cura è già avanti in alcune branche della medicina, nella salute mentale sembra ancora non essere riuscita a trovare il giusto spazio.
2) Impatto socioeconomico del farmaco. Il farmaco per le patologie mentali ha anche un valore socioeconomico, che va oltre il beneficio clinico in sé. Quello che emerge è che, dopo anni di tagli alla sanità e di sottovalutazione della salute mentale, oggi in Italia permane un forte “unmet need”, inteso come bisogno di cura ancora non soddisfatto. Il PNRR ed i relativi fondi potrebbero avere un impatto decisivo sull’accesso di nuovi farmaci all’interno delle strutture ospedaliere.
3) Aderenza alle terapie. L’innovazione farmacologica nell’ambito della salute mentale aiuta a mantenere continuità nell’assunzione dei farmaci. Ad esempio, nel trattamento della schizofrenia ci sono le nuove terapie long actinge, gli antipsicotici orali di terza generazione, che presentano profili farmacologici più bilanciati e che permettono dunque di ridurre fortemente gli effetti collaterali, uno dei principali motivi di interruzione delle terapie
4) Integrazione nel percorso terapeutico. È necessario integrare i diversi aspetti della cura, ovvero la parte psicoterapeutica e quella farmacologica. Infine, l’integrazione è e deve essere l’obiettivo principale rispetto al percorso terapeutico: il lavoro da fare è quello di integrare l’ospedale con il territorio, mantenendo una continuità di presa in carico del paziente che faccia sì che, una volta superata la fase acuta e stabilizzato, il paziente non rischi di trovarsi senza punti di riferimento.