Di Edoardo Venturini
Comunque la si pensi la centralità del Parlamento costituzionalmente affermata e politicamente declamata (a giorni alterni) nulla può dinanzi al colle più alto, quello che guarda Roma e l’Italia tutta: il Quirinale. L’elezione del Presidente è il passaggio politico per eccellenza che una Legislatura, eventualmente, è chiamata ad affrontare. Può essere il momento in cui si consolidano alleanze politiche o quello in cui quelle alleanze si rompono.
Oggi, nel 2021, ci avviciniamo alla prossima elezione del Capo dello Stato con un quadro politico, economico, sociale e sanitario davvero imprevedibile sino a due anni fa. Nessuno di noi poteva prevedere una pandemia, nessuno che la risposta della scienza sarebbe stata così veloce e fenomenale e nessuno che, dopo un governo giallo-verde ed uno giallo-rosso ce ne sarebbe stato uno arcobaleno, composto da tutto l’Arco costituzionale, ad esclusione di Fratelli d’Italia e dei cespugli di sinistra.
Lo scenario in cui il Paese si avvia all’elezione del Capo dello Stato è simile a quello del 1992. L’Italia è in crisi profonda, le certezze economiche degli anni precedenti sembrano venire meno, c’è paura e stanchezza. Allora erano le stragi di mafia, le bombe che squartavano Palermo e la corruzione che portava via la Prima Repubblica, oggi è un virus, elemento minuscolo, infimo. Si aprono pertanto diversi scenari.
Il primo scenario, più semplice, è quello che, terminata ( si spera ) o quanto meno affievolita la pandemia, incardinato il recovery fund, la attuale maggioranza, constatato il venire meno dei compiti consegnategli da Mattarella, ringrazi il presidente Draghi portandolo al Quirinale, dove, in fin dei conti, in molti pensano sarebbe arrivato a prescindere dall’incarico attuale. In questo caso le ragioni che tengono in piedi la maggioranza verrebbero meno all’istante e, probabilmente, il primo atto del neo-presidente Draghi, dopo il giuramento, sarebbe quello di sciogliere le camere e portare il paese al voto.
Il secondo scenario è quello che vede una riconferma di Mattarella “a tempo”, fino al 2023, così da consentire la scadenza naturale della Legislatura e favorire un ordinato ritorno al voto. Il problema principale di questo scenario risiede però nel fatto che Mattarella, in molti modi ed in molte occasioni, ha fatto notare la sua contrarietà ad una rielezione richiamando tra l’altro, esplicitamente, la c.d. Proposta Segni, lanciata con messaggio alle Camere nel 1971 per impedire la rielezione del Capo dello Stato, consentendo simultaneamente allo stesso lo scioglimento delle camere anche negli ultimi 6 mesi del suo mandato.
Il terzo scenario è quello che vedrebbe i due blocchi parlamentari, di centrosinistra e di centrodestra, divisi all’appuntamento dell’elezione del Presidente della Repubblica. In questa ipotesi il centrosinistra potrebbe portare avanti un suo candidato (ce ne sono molti, da Gentiloni a Sassoli, da Conte a Veltroni) mentre il centrodestra, magari con la sponda di Renzi e con il peso dei delegati regionali, potrebbe puntare sull’attuale presidente del senato Elisabetta Casellati o su figure più politiche. Gli strascichi di questa rottura non potrebbero, a parere di chi scrive, non risentirsi sulla maggioranza Draghi, in questo caso rimasto a Palazzo Chigi. Una simile frattura non è paragonabile a nessun altro tipo di contrasto politico che un governo possa incontrare. Sarebbe in ogni caso la fine preannunciata del governo di unità nazionale.
Il quarto ed ultimo scenario è quello che vede un esponente dell’attuale maggioranza Draghi, come la ministra della Giustizia Marta Cartabia, salire al Colle. La Ministra si è candidata al Colle quando, nel 2019, da presidente della Corte costituzionale, ha dichiarato, con motivazioni giuridicamente discutibili, inammissibile il referendum abrogativo della parte proporzionale della legge elettorale, vero volano per lo scioglimento anticipato nel 2020 (covid non prevedendo). In questo modo, con l’elezione di una donna alla Presidenza dell Repubblica, oltre a rompersi un grande tabù si consentirebbe al governo Draghi di andare a scadenza terminando le riforme necessarie per il Recovery plan.
Insomma, come si evince, il passaggio del Gennaio-febbraio 2022 sarà cruciale per capire le sorti della XVIII legislatura repubblicana. In un un modo o nell’altro è sempre al Quirinale l’ago della bilancia della politica italiana.