Una contrapposizione senza sosta tra dem e pentastellati potrebbe favorire il centrodestra, se unito e moderato
Tra i due litiganti, il terzo gode. Si può descrivere con uno dei detti italiani più noti lo scenario che, nel futuro prossimo, non è escluso contrassegni il dibattito politico nazionale: una contrapposizione senza quartiere tra Partito Democratico e MoVimento 5 Stelle, della quale potrebbe tuttavia giovarsi il centrodestra.
Sia tra i dem (con Matteo Renzi primo sostenitore di questa linea) che in casa pentastellata, infatti, sembra essersi diffusa la convinzione che le prossime elezioni Politiche saranno un discorso limitato, per quanto concerne la conquista di Palazzo Chigi, a Pd e M5S, e che dunque gran parte della partita si giocherà sulla capacità di attrarre più elettori dell’avversario nella rincorsa alla soglia del 40% dei voti, necessaria per garantirsi la maggioranza alla Camera (al momento appare più plausibile l’estensione del premio di maggioranza al Senato, che non un accordo tra maggioranza e opposizione sulla riforma elettorale).
La situazione appena descritta è testimoniata dalle polemiche quotidiane (sempre più accese) tra gli esponenti dei due partiti, riguardanti temi tra loro differenti ma molto sentiti dall’opinione pubblica: dal rapporto tra politica e inchieste giudiziarie ai vitalizi dei parlamentari, dall’accoglienza dei migranti alla lotta alla disoccupazione, senza tralasciare le strategie in ambito bancario ed energetico-ambientale. Una contrapposizione, alimentata da entrambe le parti alla minima occasione e amplificata facendo ricorso a tutte le piattaforme mediatiche disponibili, tanto che per un cittadino informato sulle vicende della politica è ormai abituale imbattersi nelle diatribe tra Partito Democratico e MoVimento 5 Stelle.
Questa “marcatura a uomo” reciproca, come detto, rischia però di non favorire nessuno dei contendenti, se portata avanti senza ripensamenti nella lunga campagna elettorale che precederà il rinnovo del Parlamento (previsto, al massimo, tra un anno). Dal 2013 il sistema partitico italiano è stabilmente tripolare, e basta osservare qualunque sondaggio per accorgersi che se il centrodestra riuscisse a riunire le componenti in cui si è frazionato sarebbe a tutti gli effetti competitivo per la vittoria elettorale, ancor di più se Silvio Berlusconi tornasse pienamente candidabile.
Oltre alla tradizionale forza dei moderati italiani, non va sottovalutato l’effetto che uno scontro prolungato tra Pd e M5S potrebbe avere su un buon numero di elettori indecisi o svincolati da appartenenze politiche, i quali potrebbero puntare su una coalizione (quella conservatrice) le cui esperienze di governo sono più lontane nel tempo, e quindi meno presenti nella memoria collettiva, dei mille giorni di Renzi o delle amministrazioni locali pentastellate. In tal senso, un centrodestra che vedesse prevalere il pragmatismo di Berlusconi (recentemente tornato a prendere parte alle riunioni dei leader del Ppe) sulla linea sovranista di Matteo Salvini e Giorgia Meloni potrebbe presentarsi ai cittadini come il “polo della responsabilità”.
Senza dubbio, le Amministrative di giugno costituiranno un primo test sugli equilibri politici presenti e futuri del Paese. Al di là di ciò, già da ora si può auspicare che il confronto tra i partiti si concentri, in considerazione delle importanti tappe dei prossimi mesi, più sulle idee per il futuro dell’Italia che non sulla volontà di contrastare i rispettivi avversari.