Un uomo controlla una stradina della sua città su Google Street View, la caratteristica di Google Maps che fornisce viste panoramiche a 360° lungo le strade, e permette in tal modo agli utenti di vedere parti della città a livello del terreno. Forse cerca un negozio, o forse è capitato li per sbaglio, non si sa. Ma quello che quest’uomo vede sullo schermo – come se effettivamente fosse li presente – è l’auto della moglie, parcheggiata insolitamente proprio in quella strada secondaria.
Il modello, il colore e le caratteristiche dell’auto erano proprie quelle. Ma soprattutto la targa – ben visibile e non criptata da Google – non lasciavano dubbio alcuno: la moglie stava portando avanti una tresca a quell’indirizzo. Messa alle strette, infatti, la traditrice confessava una relazione sentimentale con un altro uomo, abitante in quella strada, causando così la crisi e la fine del matrimonio.
La fedifraga però non ci stava e adiva alla giustizia – non solo per difendersi dalle rivendicazioni del consorte – ma soprattutto per farla pagare a Google, reo di aver svelato gli arcani misteri, chiedendo che la società americana fosse condannata al risarcimento dei danni. Infatti, secondo la ricorrente, i suoi dati personali erano stati acquisiti senza garantire la tutela della necessaria riservatezza, e l’utilizzazione degli stessi era avvenuta senza il suo consenso. Infatti, a causa della mancata avvertenza da parte di Google delle riprese fotografiche – e dalla successiva mancata criptazione del numero di targa della macchina parcheggiata inconsapevolmente in quella via – la sfortunata protagonista di questa vicenda non aveva potuto evitare che la sua automobile fosse fotografata. Ciò aveva determinato casualmente la scoperta, da parte del marito, dell’insolito parcheggio dell’autovettura della moglie in quella via.
La questione, se Google fosse o meno responsabile di quella rottura, è giunta allo scrutinio della Corte di Cassazione che – con la recente Sentenza 27224/2022 del 15 settembre – ha respinto al mittente le accuse mosse al gigante della tecnologia, così come già fatto dal Tribunale di prima istanza.
Infatti, secondo i giudici del Palazzaccio, nonostante la società avesse effettivamente violato le disposizioni sulla privacy non dando preventiva informazione al pubblico sulle riprese fotografiche e – soprattutto – non oscurando il numero di targa del veicolo della donna, non è stato dimostrato che il marito si fosse accorto del parcheggio sospetto consultando Google Maps, e che da tale scoperta fossero derivate poi le conseguenze descritte dalla (ex) consorte.
Come infatti già sentenziato dal giudice di prime cure, nessuna prova era stata offerta per dimostrare il nesso causale tra il comportamento di Google e i danni pretesamente subiti a cagione di tale comportamento. Niente risarcimento, dunque, e matrimonio finito. E, in questo caso, cornuta e mazziata.