La Corte di Cassazione ridimensiona il diritto all’oblio, ovvero la possibilità per chiunque (a determinate condizioni) di essere dimenticati dal web, con la conseguenza di impedire ai motori di ricerca di ripescare in rete notizie relative a fatti passati che li riguardino direttamente.
Sino a questa pronuncia dello scorso dicembre, infatti, veniva postulato una sorta di automatismo tra deindicizzazione a partire dal nome (quindi l’impossibilità per i motori di ricerca di “individuare” nei vari siti web la presenza del soggetto ricercato) e la cancellazione del dato (ovvero l’intera descrizione dei fatti presente nelle c.d. “copie cache”). Non sarà più così, dice la Cassazione.
La I sezione civile del Palazzaccio, con la Sentenza n. 3952 depositata lo scorso 8 febbraio, ha ridisegnato i confini della deindicizzazione, stabilendo che nulla questio alla “cancellazione” del nome del soggetto dall’elenco dei risultati di ricerca restituiti dal motore di ricerca ma – ed è qui la novità – la notizia deve restare invece disponibile quando si utilizzano altri criteri per l’interrogazione. L’ordine dell’Autorità per la protezione dei dati personali va bene per la deindicizzazione del nome e cognome della personalità che vuol essere dimenticata, ma non per cancellare il dato presente in Rete, cosa che richiede invece una apposita sentenza.
Il caso arrivato allo scrutinio degli Ermellini risale al 2015 quando, un imprenditore coinvolto nel fallimento della propria società diversi anni prima, chiedeva al motore di ricerca Yahoo! di ottenere la rimozione del suo nome dai risultati che il motore di ricerca restituiva a tutti coloro i quali cercavano quel nome e cognome.
Il motore di ricerca, affermando di non essere titolare del trattamento di quei dati, si rifiutava di accogliere l’istanza dell’ex imprenditore. Il caso finiva direttamente sul tavolo del Garante privacy che, con un provvedimento amministrativo, stabiliva l’obbligo per Yahoo! non solo di deindicizzare la notizi, ma anche di distruggere la c.d. “copia cache”. La cancellazione delle copie cache, infatti, impedisce al motore di ricerca di indicizzare i contenuti attraverso qualunque parola chiave, anche diverse dal nome dell’interessato.
Yahoo! non ci stava, e ricorreva contro il provvedimento, arrivando sino in Cassazione. Qui, qualche mese fa, i supremi giudici non hanno messo in dubbio la possibilità di deindicizzare (che, nel caso di specie, e stante la non più attualità del fatto, è stato giusto riconoscere), ma ha censurato, piuttosto, la decisione del Garante di ordinare la cancellazione delle copie cache delle pagine Internet accessibili attraverso gli URL degli articoli di stampa relativi alla vicenda dello sfortunato imprenditore. La copia cache dei siti internet indicizzati, infatti, consente al motore di ricerca di fornire una risposta più veloce ed efficiente all’interrogazione posta dall’utente attraverso una o più parole chiave (magari diverse dal semplice “nome e cognome”). La cancellazione di esse precluderebbe – in tal maniera – al motore di ricerca, nell’immediato, di avvalersi di tali copie per indicizzare i contenuti attraverso parole chiave anche diverse da quella corrispondente al nome dell’interessato. In soldoni: la notizia deve rimanere presente sul web, tutt’al più il nome del soggetto può essere deindicizzato.
A fronte della richiesta di cancellazione delle copie cache rimane dunque centrale l’esigenza di ponderare gli interessi contrapposti. Ma il bilanciamento da compiersi non coincide, nel caso in argomento, con quello operante ai fini della deindicizzazione, poiché l’eventuale sacrificio del diritto all’informazione non aveva ad oggetto una notizia raggiungibile attraverso una ricerca condotta a partire del nome della persona, in funzione del richiamato diritto di questa a non essere trovata facilmente sulla rete, quanto la notizia in sé considerata, siccome raggiungibile attraverso ogni diversa chiave di ricerca.
Eliminando anche la copia cache, infatti, gli utenti del web non avrebbero potuto continuare ad essere informati sulla vicenda di cronaca nel suo complesso, per come accessibile attraverso l’attività del motore di ricerca.
La cancellazione totale dell’informazione esige, secondo tale sentenza, una ponderazione del diritto all’oblio dell’interessato col diritto avente ad oggetto la diffusione e l’acquisizione dell’informazione, relativa al fatto nella sua interezza, attraverso parole chiave anche diverse dal nome della persona in questione. Per questo per la Suprema Corte, il Garante privacy aveva agito legittimamente riguardo alla deindicizzazione, ma per cancellare completamente una notizia, è necessaria la sentenza di un giudice.