Alcuni anni fa, l’attore e scrittore satirico Natalino Balasso, espose una suggestiva legge sociologica, che egli denominò “il Principio del Telepass”.
Nei suoi spettacoli – e in alcuni video pubblicati su Youtube – Balasso così illustrava questa sua teoria: “Siamo entrati in un cortocircuito mentale, secondo cui più stanno male gli altri, più stiamo bene noi. È il principio del Telepass. Se tu passi col Telepass e nei caselli vicini non c’è nessuno, tu passi e il tuo stato d’animo non cambia. Ma se tu passi col Telepass e i caselli vicini sono pieni di gente in coda che aspetta col biglietto in mano, tu sei felice! Ma perché non eri felice prima? Perché quello che ti fa felice non è l’idea di passare, è l’idea che non passino gli altri!”.
È piuttosto evidente che questo principio sia stato, più o meno consapevolmente, una importante fonte di ispirazione per i governi che si sono succeduti in questi due anni di emergenza pandemica. Se infatti, in una primissima fase, era stata seguita una strategia per così dire “orizzontale”, uniforme, in un certo senso pienamente “democratica”, cioè con obblighi, chiusure e restrizioni draconiane sì, ma generalizzate, uguali per tutti, ben presto la logica doppio pesista, quella dei “figli e figliastri”, dei vantaggi per alcuni ma non per tutti, ha prevalso.
Così, già nel 2020, di fronte alla proposta – a compensazione delle chiusure delle attività produttive e commerciali imposte dal governo per frenare il contagio – di erogare dei rimborsi statali identici per tutti, si preferì seguire la logica dei “ristori” differenziati in base al codice Ateco, con alcune categorie ammesse ad ottenere quel sussidio e altre che non ne ebbero diritto, sebbene anch’esse fossero state chiuse per decreto, come fu nel caso delle scuole di danza.
La stessa logica portò, poi, alla riapertura scaglionata di alcune attività e non di altre, con le varie lobby di categoria a sgomitare per far riaprire il proprio settore a discapito di altri rami produttivi. A tale proposito, nell’ottobre del 2021, mi capitò di ascoltare il discorso elettorale fatto da Gian Battista Baccarini, presidente nazionale della Fiaip – la Federazione Italiana degli Agenti Immobiliari – per venire riconfermato alla presidenza di quella federazione.
Il suo discorso fu tutto incentrato sulla propria capacità di avere fatto ammettere le agenzie immobiliari nell’elenco delle attività che vennero subito riaperte dal governo, dopo il primo lockdown, già a maggio del 2020. Guarda caso, grazie a quel discorso, Baccarini fu riconfermato presidente Fiaip col 98% dei consensi.
L’apoteosi del Principio del Telepass, si è comunque toccato con l’introduzione del Green Pass, che – fin dall’assonanza nella scelta del suo nome – ha messo bene in evidenza la propria sintonia concettuale con la teoria sociologica esposta da Natalino Balasso. Che il Green Pass non servisse a un gran che per creare ambienti sicuri e privi di possibilità di contagio, era chiaro da subito, fin da prima della sua introduzione. Era stato infatti Antony Fauci – il virologo a capo della task force antipandemica degli Stati Uniti – ad affermare pubblicamente, già a inizio estate 2021, quindi diversi mesi prima dell’introduzione in Italia del Green Pass, che anche i vaccinati potevano contagiarsi e contagiare. Dunque, a che pro fornire loro un lasciapassare che gli avrebbe consentito di diffondere il virus?
Però, se era chiaro che il Green Pass avrebbe probabilmente avuto una debole efficacia sul piano antipandemico, o addirittura poteva rivelarsi controproducente, si sapeva anche che la sua introduzione avrebbe avuto un enorme successo sul piano del consenso. Esso creava infatti, per il solo fatto di esistere, un’ampia categoria di “privilegiati”, che avrebbero potuto accedere a locali e servizi pubblici, a discapito di un’altra categoria – quella dei non vaccinati – a cui quei servizi sarebbero stati preclusi. Avrebbe attivato, de facto, il Principio del Telepass, insomma.
Dunque, tra i primi sarebbe scattato, di default, il meccanismo descritto da Balasso: una sottile soddisfazione per avere qualcosa in più rispetto agli altri. Che poi quel qualcosa “in più” sarebbero stati dei diritti che – almeno in teoria – erano già acquisiti da tempo in base al dettato costituzionale, sarebbe stato un dettaglio di poca importanza e percepito da pochissimi.
La percezione dei più – giusta o sbagliata che fosse – sarebbe stata semmai quella che, con l’introduzione del Green Pass, i propri diritti avrebbero aumentato il proprio valore di mercato, poiché sarebbero diventati un privilegio, privilegio riservato solo ai possessori di Green Pass.
Per difendere un privilegio, ogni uomo, da che mondo è mondo, è capace di fare di tutto, soprattutto se ciò avviene a discapito di altri uomini ritenuti “cattivi” o “ignoranti”. È un meccanismo sociale vecchio come il mondo. Esisteva già ai tempi dei greci e dei romani, popoli disposti a ogni sacrificio pur di potersi sentire superiori ai cosiddetti “barbari”, categoria in cui erano incluse anche raffinatissime civiltà come quella dei Persiani. Ai cittadini greci e romani erano, infatti, riconosciuti privilegi che agli altri erano negati.
E così, ad esempio, San Paolo poté evitare, in quanto cittadino di Roma, di essere torturato – a differenza di quanto era avvenuto a Gesù, che romano non era – e per questo rivendicò con orgoglio la propria cittadinanza, quando venne catturato e portato a processo, proprio per poter sfruttare questo privilegio. Che poi anche lui, alla fine della fiera, sia finito condannato a morte, sembra quasi un dettaglio: per un po’, evitando la tortura e l’immediata condanna, ha potuto godere di una felicità paragonabile a quella del possessore di Telepass che dribbla la fila al casello, durante il rientro dalle ferie.
È poi sempre Il “Principio del Telepass” il motivo per cui, quando va al potere, praticamente ogni totalitarismo indica – o a volte inventa di sana pianta – delle categorie sociali di reietti a cui non concedere gli stessi diritti degli altri: siano essi dei presunti “controrivoluzionari”, siano essi l’una o l’altra congregazione religiosa, oppure coloro che hanno un colore della pelle o delle preferenze sessuali diverse dalla maggioranza. A costoro, ovviamente, non può essere concesso nessun “Telepass”, un Telepass che, di volta in volta, può assumere le forme di una tessera di partito, di un posto di lavoro o di un posto sull’autobus, di un accesso libero nei locali, nelle scuole, nelle università.
Niente di nuovo sotto il sole, insomma. La speranza è che, perlomeno, questo meccanismo, sebbene decisamente discriminatorio, aiuti perlomeno a risolvere o ad alleviare i problemi politici, economici, medici, o sociali che, di volta in volta, la società si trova ad affrontare. Ma anche su questo c’è poco da sperare e, anche qui, il meccanismo ce lo spiega bene il caro Natalino Balasso, in un altro suo pezzo satirico presente, da qualche anno, sul web: “Chi vuole, seriamente, che scompaia il cancro? Se scompare il cancro, addio medicinali, addio soldi per la ricerca, addio posti di lavoro! Il sistema non vuole soluzioni!”