Secondo un attento studio redatto dall’organizzazione non-profit Mozilla, emergerebbe che la gran parte delle applicazioni scaricate gratuitamente dal web farebbero incetta di dati personali degli utilizzatori, condividendoli successivamente con altre applicazioni e social network, in barba ad ogni garanzia di protezione delle informazioni personali.
Il Rapporto, dall’evocativo titolo «Privacy Not Included», ha preso in esame più di 20 app, rilevando che la maggior parte di esse raccoglie grandi quantità di dati personali, trasferendoli poi a terze parti, con risultati anche eclatanti: delle 10 app per la gravidanza, 10 tracker mestruali e cinque dispositivi indossabili esaminati nello studio, solo sette sono stati ritenute in grado di rispettare la privacy degli utenti. Lo studio ha anche esaminato le policy di sicurezza e ha rilevato che otto app non soddisfacevano gli standard minimi, consentendo password semplici e deboli.
In particolare, le app per il monitoraggio delle mestruazioni negli USA sono utilizzate da quasi una donna su tre, e tale tipo di applicazioni registra ampie quantità di informazioni intime e personali come, ad esempio, la durata del ciclo mestruale, sui tipi di controllo delle nascite e su altri problemi di salute.
Alla luce della scarsa sicurezza registrata sotto il profilo della condivisione delle informazioni, gli esperti temono che questi dati possano essere utilizzati dalle forze dell’ordine per perseguire le persone che cercano illegalmente di abortire, specie dopo la recente sentenza della Corte Suprema «Roe contro Wade» che ha attenuato le tutela legate al diritto all’aborto.
Ma apparentemente non c’è nulla di illegali, anzi. Nelle condizioni contrattuali che frettolosamente vengono accettate al termine del download, infatti, viene riportato l’elenco di soggetti a cui possono essere comunicati i dati raccolti dalle app, per la maggiore delle volte social media e i loro inserzionisti pubblicitari, ma anche forze dell’ordine, condizioni legali da tutti accettate quasi in automatico, senza la minima lettura. Ma nel caso delle app di tracciamento del periodo mestruale delle donne statunitensi questo riveste un aspetto molto delicato proprio alla luce dell’abolizione del diritto all’aborto e della possibilità per la polizia di richiedere ai giganti di Internet maggiori dati e informazioni legate alla sfera sessuale degli utenti.
Sebbene non ci siano ancora prove che i dati di tracciamento del periodo mestruale vengano utilizzati nelle indagini degli organi di polizia, alcune società tecnologiche stanno già gestendo le richieste giunte dalle forze dell’ordine in tal senso. Pochi giorni fa, ad esempio, e secondo quanto riportato dal The Guardian, nel Nebraska un’adolescente di 17 anni e sua madre sono state denunciate penalmente dopo che Facebook ha consegnato informazioni (inclusi messaggi privati) relative ad un aborto che la ragazza avrebbe ottenuto illegalmente.
“La maggior parte di queste app condivide i dati con un gran numero di terze parti, inclusi tutti, dagli inserzionisti e Facebook ai partner di ricerca e alle forze dell’ordine“, ha affermato Jen Caltrider, ricercatrice di Mozilla. “Questo solleva molte domande“. Tale cosa mette in luce la necessità di un’educazione specifica all’uso e consumo dei nuovi prodotti digitali.