Quando il 12 ottobre 1492 Cristoforo Colombo prese possesso del nuovo mondo – e battezzato nel nome dei re di Castiglia e Aragona – si pose subito il problema di che forma di governo dare ai nuovi territori, di come organizzare in maniera ordinata il frutto della Conquista.
Con le differenti peculiarità, oggi il dibattito viene riproposto in relazione alle conquiste che l’umanità tutta sta progressivamente mettendo a punto, non tanto su suoli fisici (ormai esauriti) ma, piuttosto, nel cyberspazio.
È quanto sta accadendo intorno al fenomeno del Metaverso, la realtà virtuale tridimensionale targata Facebook che viaggia sulla rete all’interno della quale ogni singolo abitante del pianeta può accedere e vivere in un mondo parallelo attraverso un avatar.
Purtroppo, come ogni nuovo mondo, le regole sono blande e i controlli tutti da organizzare. Diverse le denunce, infatti, riguardo alla contraffazione dei prodotti industriali, come borse, scarpe ed altri accessori indossati sì da avatar, ma prodotti e commercializzati da aziende reali. Analogamente le polizie di tutto il mondo hanno lanciato l’allarme riguardo ai caroselli di denaro sporco che, proprio grazie ai controlli inesistenti operanti nel Metaverso, bande criminali riescono a riciclare senza troppi problemi.
Ma cosa accade se la popolazione indigena (avatar virtuali comandati da persone in carne e ossa nel mondo reale) offendono, molestano o addirittura uccidono altri avatar? È possibile applicare il codice penale “terrestre” per situazioni del genere che, nella realtà, non esistono?
Dopo i primi casi di violenza sessuale verificatisi in questo meta-mondo e denunciati lo scorso dicembre, questa nuova piattaforma è stata presa d’assalto da speculatori e pirati moderni che in essa trovano porto franco per ogni genere di attività.
Se lo sono chiesti diversi esperti del settore, tra cui John Bandler, docente di sicurezza e criminalità informatica alla Elisabeth Haub School of Law di New York, in un’intervista rilasciata al The Sun qualche mese fa. Qui il docente ha espresso la sua opinione su questa delicata questione: in estrema sintesi, tutto si riduce alla formulazione delle leggi come sono attualmente scritte, cioè per proteggere «persone reali e viventi» e non pupazzi informatici proiettati in un ambiente tridimensionale.
La legge, in ultima battuta, non ha lo scopo di proteggere avatar o codici software, ovvero il DNA stesso del Metaverso. Di altro parere, invece, Greg Pryor, avvocato dello studio legale Reed Smith LLP: «Trolling, bullismo virtuale, minacce e comportamenti scorretti si verificano continuamente online. Non è una novità e accadrà anche nel Metaverso», ha dichiarato il legale. «Ma se dico qualcosa di razzista o abuso di qualcuno in base alla sua razza, religione o sessualità, allora potenzialmente potrò essere perseguito».