Sarà forse che dietro c’è una sorta d’imprinting. Il comunismo italiano, infatti, nacque nel 1921 da una scissione. Ebbe il proprio battesimo quando Gramsci e Bordiga, a Livorno, tagliarono definitivamente i ponti col Partito Socialista Italiano, a cui erano iscritti. Per alcuni decenni, il centralismo democratico della dirigenza del PCI tenne più o meno tutti uniti i vari comunisti d’Italia (con l’eccezione del breve periodo del PSIUP e di Democrazia Proletaria), ma dal 1989, col crollo del muro, è iniziato una sorta di Big Bang.
Rifondazione Comunista, il Partito dei Comunisti Italiani e poi ancora SEL, la Sinistra Arcobaleno, sono alcune delle sigle generate da quella esplosione. Sigle spesso finite rapidamente nell’oblio. Oggi, a un’occhiata rapida e sommaria, i “nipotini di Gramsci” possono contare su un numero di partiti forse persino superiore a quello dei propri elettori.
Ci sono i reduci di Rifondazione Comunista; c’è poi il Partito Comunista dei Lavoratori, d’ispirazione trozkista; c’è Potere al Popolo, più legato al mondo dei centri sociali; c’è un movimento come Patria e Costituzione, fondato da Stefano Fassina e che s’ispira al pensiero di Togliatti; c’è un PCI redivivo, con nome e sigla di quello che fu il partito di Enrico Berlinguer; poi c’è Sinistra Italiana; infine c’è una Confederazione delle Sinistre, col compito disperato e velleitario di provare a rimettere insieme tutte queste sigle.
A guardare questo panorama, viene in mente una vecchia parodia di Bertinotti, fatta da Corrado Guzzanti, in cui il leader comunista profetizzava una progressiva e inarrestabile scissione dei nuovi micro-neo partitini di sinistra, al punto da diventare tutti invisibili a occhio nudo, fino a riapparire solo dopo la devastazione completa del pianeta. Una profezia che, a quanto pare, pare a un passo dall’essersi avverata.
In questo scenario, c’è però da aggiungere il Partito Comunista guidato da Marco Rizzo. Rizzo, in questi ultimi anni, ha perlomeno il merito di essersi dimostrato meno indistinguibile rispetto agli altri. Le sue politiche – fortemente critiche non solo nei confronti della destra liberista, ma anche e soprattutto nei confronti della sinistra stessa – gli hanno ritagliato un ruolo più identificabile, nel panorama politico italiano.
Un ruolo, certo, spesso criticato, tacciato di “rossobrunismo”, cioè di vicinanza con la destra sociale, oltre che con le forze cosiddette sovraniste e populiste. Ma Marco Rizzo è andato avanti sulla sua strada e, convinto che la politica attuale vada fatta sui temi concreti del presente e non su vecchi steccati ideologici, ha avviato una serie di alleanze inedite, con partiti e movimenti che convergevano con lui nella difesa del dettato costituzionale e nella critica al governo Draghi.
E così, alle recenti amministrative, si sono avuti inattesi appoggi a candidati provenienti dalla Lega, alleanze locali con il partito di Mario Adinolfi, collaborazioni saltuarie con Diego Fusaro, con Ingroia, con i sovranisti di Riconquistare l’Italia, con Italexit di Paragone e con altri movimenti non provenienti dal mondo comunista e di sinistra.
Una collaborazione che, in alcuni casi e con alcune di queste sigle, si sta facendo via via meno sporadica e più strutturata. La cosa, però, non viene apprezzata da tutti i membri del PC. Soprattutto nella federazione milanese del Partito Comunista, le critiche a questa linea politica sono venute fuori, concretizzandosi in sette voti contrari ottenuti da Rizzo al Comitato Centrale svoltosi il 25 giugno.
Nulla di strano e nulla di male, anzi. Quei voti contrari sarebbero il segno di un positivo dibattito interno, di una possibilità di confronto costruttivo, di una democrazia e di un fermento interno al PC che molti altri partiti, in questi ultimi anni, stanno dimostrando di non avere.
Se non fosse che, alcuni giorni fa, i membri di quella minoranza, approfittando del fatto di avere le password di accesso ai canali social del partito, non avessero pubblicato un comunicato che dichiarava Marco Rizzo decaduto dal suo ruolo di segretario nazionale ed espulso dal partito. Cosa poi rivelatasi non vera.
La vicenda, perciò, da dibattito costruttivo, si è rapidamente trasformata in battaglia legale, con la Commissione Centrale del PC che ha ora richiesto l’espulsione del gruppo di dissidenti autori di questo comunicato, riconfermando ufficialmente la propria fiducia al segretario: “Marco Rizzo sta bene e gode della fiducia (certificata col voto ad ampia maggioranza – 7 voti contrari e 1 astenuto – del Comitato Centrale del 25 Giugno) di tutto il Partito, che approva la scelta di unire le forze reali del dissenso in questo Paese”.
Starà ora agli organi ufficiali di controllo il compito di esprimersi in merito. Starà poi ai sette dissidenti scegliere se proseguire le proprie battaglie all’interno del PC, cercando di vincere la battaglia legale, oppure se unirsi ad altre forze politiche più vicine alle proprie idee, o dare vita all’ennesima scissione e alla nascita di un nuovo micropartitino di sinistra, figlio di questo nuovo episodio dell’interminabile diaspora comunista.
Lo scopriremo a breve. Intanto i critici di Rizzo festeggiano questo inatteso assist, arrivato proprio dall’interno del PC, sui propri profili e sui propri organi di stampa di riferimento. Marco Rizzo, dal canto suo, prova a ribaltare la frittata, plaudendo all’inattesa pubblicità giuntagli a seguito di questa querelle.
“Male o bene, purché se ne parli” pare essere il suo motto, anche se i toni usati per esprimere questo concetto, denotano un certo nervosismo. Segno che questo “fuoco amico” non fosse poi così tanto atteso e benvenuto. O forse lo era, ma quanto lo furono le pugnalate di Bruto, quando si ritrovò a riceverle suo padre Giulio Cesare.