Crescono le adesioni del 12,7% negli ultimi tre anni, ma mancano ancora più di due terzi dei lavoratori potenzialmente aderenti. Rendimenti a + 29,1% medio nel periodo 2012 – 2016
“Sebbene lo sviluppo dei fondi pensione rappresenti un’esperienza di successo, non si può tuttavia trascurare che oggi sono iscritti meno di un terzo dei lavoratori potenzialmente aderenti, nonostante una previdenza pubblica non più in grado di garantire trattamenti pensionistici adeguati”.
È questo il messaggio del presidente di Assofondipensione, Giovanni Maggi, in occasione della presentazione di lunedì scorso, a Roma, del Rapporto sui fondi pensione negoziali 2017, cui sono intervenuti tra gli altri il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia, il ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Giuliano Poletti, il sottosegretario del ministero dell’Economia e delle Finanze, Pierpaolo Baretta.
Un rapporto con tinte chiare e tinte scure dunque.
A tinte chiare perché 32 fondi, due milioni e 670 mila i lavoratori aderenti, oltre 47 miliardi di euro di risorse accumulate per le future prestazioni, raccolta netta in crescita e rendimenti nel medio-lungo periodo nettamente superiori alla rivalutazione del Tfr sono un buon risultato.
Ma due terzi di lavoratori potenzialmente aderenti non ancora iscritti, come ha lamentato il presidente Maggi, attenuano, non poco, la soddisfazione data dai numeri appena citati.
Ed è per questo infatti che Assofondipensione ha posto al centro della giornata di lavori il tema della crescita dimensionale dei fondi, indicando come strade maestre per favorire l’incremento degli iscritti e conseguentemente dei patrimoni gestiti l’educazione previdenziale e la comunicazione, anche a livello istituzionale.
Accanto a questo tema, poi, Maggi ha richiamato con forza nella sua relazione anche quello degli investimenti nell’economia reale. “I fondi negoziali – ha sostenuto –sono ormai investitori istituzionali maturi, capaci di essere doppiamente utili all’economia del Paese: da una parte come collettori del risparmio previdenziale, dall’altra come finanziatori dell’economia produttiva. Tenendo in considerazione gli incentivi fiscali introdotti dalla recente normativa, ha proseguito Maggi,l’Associazione dovrà creare le condizioni per consentire ai fondi pensione di destinare, liberamente e volontariamente, almeno una parte del risparmio previdenziale al finanziamento dell’economia reale e allo sviluppo infrastrutturale. Ciò in cambio di buoni rendimenti e adeguate condizioni di controllo del rischio per gli aderenti”.
La spirale virtuosa, in questo senso, è già stata avviata. Sette fondi pensione negoziali hanno infatti investito o hanno intrapreso i primi passi per investire nell’economia reale, tramite fondi di investimento o mandati specializzati.
Al 30 giugno 2017 l’ammontare complessivo degli investimenti già effettuati attraverso strumenti specializzati in private debt, private equity, infrastrutture ed energie rinnovabili ammonta a 122,5 milioni di euro, pari allo 0,3% degli investimenti diretti e in gestione totali dei fondi pensione. L’impegno complessivo assunto è pari a 331,7 milioni di euro, di cui 181,7 in Italia. La quota maggiore va agli investimenti in private debt (74,1%), seguiti dal private equity (16%), dalle energie rinnovabili (7,2%) e dall’housing sociale (2,8%).
Una ulteriore, forte leva per incrementare il numero degli iscritti è sicuramente data dai rendimenti registrati dai fondi aderenti ad Assofondipensione anche se nei primi sei mesi del 2017 il rendimento medio dell’insieme dei fondi pensione negoziali è stato leggermente inferiore al tasso rivalutazione del Tfr (+0,9% contro+1,1%).
La spiegazione data è stata che il risultato non brillantissimo registrato nel breve periodo è derivato dall’andamento negativo nel semestre del mercato obbligazionario.
Per contro però, nel medio-lungo periodo, la performance dei fondi pensione negoziali supera ampiamente la rivalutazione del Tfr. Dal 2008 al giugno 2017 il rendimento medio è stato +36,5%, mentre il Tfr si è rivalutato del +22,5%. Considerando l’arco temporale degli ultimi 5 anni, dal 2012 al 2016, il divario è ancora più netto: +29,1% per i fondi pensione negoziali contro +8,9% di rivalutazione del Tfr.
I rendimenti derivano naturalmente dalle scelte di investimento dei fondi che ammontano in totale a 47,3 miliardi di euro (dati al 30 giugno 2017). Di questo totale il 45,9% è investito in titoli di Stato, il 20,4% in azioni e altri titoli di capitale, il 17,6% in obbligazioni, l’8% in fondi comuni e Etf, il 7,2% in depositi bancari e il restante 0,9% in altre attività.
Rispetto alla fine del 2016 va rilevato come si sia decisamente ridotta la quota di titoli di Stato (era il 55,1%) in favore di una crescita in portafoglio di obbligazioni, azioni e altri titoli di capitale, fondi e depositi bancari.
A fine 2016 il 32,3% degli investimenti dei fondi pensione negoziali era allocato in Italia, il 46,6% in altri Paesi dell’Unione Europea, il 20,7% in altri Paesi dell’Ocse e lo 0,4% in Paesi al di fuori dell’Ocse. Degli investimenti in Italia la stragrande maggioranza è rappresentata da titoli di Stato (83,5%), seguiti da depositi bancari (9,3%), obbligazioni (3,8%), azioni (3,3%), quote di fondi e Etf (0,1%) e dai depositi bancari (9,3%). E questo significa che poco meno di 1 miliardo di euro risulta investito dai fondi pensione negoziali in aziende italiane tramite l’acquisto di titoli di capitale o titoli di debito.
Dunque i fondi negoziali devono compiere uno sforzo anche in questa direzione perché, come ha detto anche il presidente di Assoprevidenza, Sergio Corbello, è da auspicare “un crescente intervento degli investimenti dei fondi pensione nell’economia reale e segnatamente nelle infrastrutture sociali del Paese che si connettono direttamente alla mission dei fondi stessi, pur con le difficoltà strutturali che connotano la previdenza complementare italiana”.