Dopo quasi un anno di paralisi, il segretario dei socialisti (premier dal 2018) e il leader della sinistra populista hanno dato vita a un Governo di coalizione progressista. Ma per la nascita dell’Esecutivo, che non ha la maggioranza assoluta nelle Cortes, sono stati fondamentali gli appoggi e le astensioni di nazionalisti baschi e indipendentisti catalani. Durissima l’opposizione conservatrice: “A rischio l’unità del Paese”
Dopo quasi un anno di Governo limitato al disbrigo degli affari correnti, durante il quale si sono tenute due elezioni generali (il 28 aprile e il 10 novembre 2019), l’arrivo del 2020 ha portato in dote alla Spagna un Esecutivo nel pieno dei propri poteri, che sarà nuovamente presieduto dal segretario del Partido Socialista Obrero Español – PSOE Pedro Sánchez, in carica come primo ministro da giugno 2018.
Nella giornata di ieri 7 gennaio Sánchez ha infatti ottenuto la fiducia del Congreso de los Diputados di Madrid, ottenendo 167 sì a fronte di 165 no e 18 astensioni. Domenica 5 gennaio era invece andata a vuoto una prima votazione, per il cui esito positivo il leader dei socialisti avrebbe dovuto ricevere il sostegno della maggioranza assoluta delle Cortes, ossia di almeno 176 sui 350 componenti dell’Assemblea.
Il pilastro che consentirà la permanenza del segretario del PSOE nel Palacio de la Moncloa (residenza dei Capi di Governo spagnoli) è rappresentato dall’accordo di coalizione sottoscritto con la sinistra populista di Unidas Podemos a distanza di pochi giorni dalle elezioni di novembre, al contrario di quanto avvenuto l’estate scorsa (quando i due stessi partiti per mesi non erano stati in grado di siglare un’intesa). Pedro Sánchez e il suo alleato Pablo Iglesias daranno quindi vita al primo Governo in coabitazione dal ritorno della democrazia in Spagna nel 1978, basato su un programma all’insegna di aumenti di tasse per i contribuenti più abbienti e per le grandi imprese, progressivi innalzamenti del salario minimo, aumenti della spesa pubblica per ridurre le disuguaglianze sociali, politiche improntate al contrasto dei cambiamenti climatici e misure in favore della parità di genere.
Altrettanto cruciali per la nascita dell’Esecutivo di coalizione progressista, tuttavia, sono stati gli accordi che i socialisti hanno negoziato separatamente con alcune delle forze nazionaliste e regionaliste presenti in Parlamento, tali da produrre un gioco di voti favorevoli e astensioni strategiche che ha permesso di compensare la fragilità determinata dai soli 155 seggi sommati da PSOE e Unidas Podemos. Tra queste intese, spiccano i documenti sottoscritti con il Partito Nazionalista Basco e, soprattutto, con gli indipendentisti catalani di Esquerra Republicana de Catalunya – ERC, i quali hanno ‘strappato’ a Sánchez l’impegno a costituire entro 15 giorni dall’entrata in carica del nuovo Esecutivo di Madrid un tavolo di negoziazione politica tra i Governi spagnolo e catalano, finalizzato a individuare una soluzione al rebus dei rapporti tra Barcellona e il resto della penisola iberica, entrati in crisi profonda negli ultimi anni.
Proprio le intese raggiunte dal Partito Socialista con i nazionalisti baschi e catalani hanno provocato le dure contestazioni dell’opposizione conservatrice, nelle cui file il Partido Popular – PP di centrodestra ha inseguito l’ultradestra di Vox nel denunciare che l’alleanza tra Pedro Sánchez e Pablo Iglesias metterebbe a rischio l’unità della Spagna, equivalendo di fatto a un tradimento della Nazione. A sostegno di accuse così gravi, i leader di PP e Vox (rispettivamente, Pablo Casado e Santiago Abascal) hanno portato le presunte manovre in corso per sconfessare la sentenza con cui il Tribunale Supremo nell’ottobre 2019 ha condannato gli ideatori del referendum illegittimo del 2017 per l’indipendenza di Barcellona da Madrid, con particolare riferimento all’eventualità che l’ex vicepresidente della Generalitat catalana Oriol Junqueras esca di carcere poiché protetto dall’immunità da europarlamentare, ottenuta in seguito alla sua elezione a Bruxelles nel maggio scorso.
L’opposizione serrata cui andrà incontro nelle Cortes, a ogni modo, costituisce soltanto uno degli effetti della debolezza numerica e politica dell’asse tra socialisti, sinistra populista e partiti regionalisti, che se da un lato mette fine a uno stallo che rischiava di prolungarsi oltre l’accettabile per gli standard dell’Europa occidentale, dall’altro non aiuta in alcun modo a ridurre l’instabilità e la polarizzazione alle quali la Spagna pare sempre più esposta da quando è venuto meno il tradizionale bipartitismo PSOE-PP. In altri termini, se Sánchez già avrà vita difficile per far sì che il suo Governo arrivi fino al termine della Legislatura (previsto per l’autunno 2023), dovrà compiere un’autentica impresa se intenderà davvero contrastare le iniquità della società iberica e sanare le ampie divisioni (territoriali e non) esistenti nel Paese.