In attesa delle nomine nelle grandi aziende di Stato la politica scalda i motori cambiando i vertici ministeriali. Ma i nomi sono sempre gli stessi o quasi
Non solo Rai, CdP e altre nomine nelle partecipate pubbliche. Nel menù del nuovo esecutivo guidato da Giuseppe Conte spunta una prima e urgente serie di designazioni, quelle relative agli incarichi di diretta collaborazione con i nuovi inquilini dei Palazzi romani.
Come nelle migliori tradizioni, Segretari generali, capi dipartimento, di gabinetto e direttori generalivanno sostituiti con celerità: è già partito il countdown, come stabilito dalla legge, per la nomina delle figure chiave nell’organigramma della Presidenza del Consiglio e di gran parte dei dicasteri. A dettare i tempi è il D.lgs. n. 165/2001 che stabilisce come gli incarichi di funzione dirigenziale assegnati dai precedenti governi cessano decorsi novanta giorni dal voto sulla fiducia accordato dal Parlamento al nuovo esecutivo. Cioè da oggi.
Al momento si contano 44 incarichi da rinnovare, tutti assegnati durante l’ultima legislatura. Unici esclusi dalla «tagliola» i mandarini appartenenti al Ministero della Difesa e a quello degli Esteri: nel primo i Capi di Stato Maggiore non sono legati a logiche politiche, essendo le loro nomine a tempo determinato. Nel caso della Farnesina, trattandosi di feluche al comando, la sostituzione non ricade all’interno del turnover.
Per tutti gli altri a decidere sarà la nuova compagine di governo, e lo farà molto presto. I bene informati danno conto di un vertice sabato scorso, in casa Lega, per riempire le prime caselle. La priorità è Palazzo Chigi dove il premier avrà respiro più corto sugli incarichi da affidare. Qui, infatti, la nomina di Segretario generale della Presidenza, vicesegretari e capi dipartimento in carica vengono meno nel momento stesso in cui giura il nuovo governo. Scatoloni pronti, dunque, per gli «ex» Paolo Aquilanti, Luigi Fiorentino Salvatore Nastasi e Antonino Rizzo Nervo, che rimarranno comunque operativi, seppur a scartamento ridotto, sino ad un massimo di 45 giorni e solo per il disbrigo degli affari correnti (al netto di venire sostituiti prima naturalmente), tempo oltre il quale la legge prevede la loro decadenza.
Occhi puntati anche sui direttori dell’Agenzia delle entrate, Demanio e Dogane, anch’essi tutti da riconfermare o sostituire.
Ma, quando dal teorico si passa al pratico, si insinua il dubbio che si tratti di autentico spoil sistem, un vero cambio di passo rispetto alle vecchie gestioni: tra i «nuovi» nomi che in questi giorni circolano insistentemente quello di Vincenzo Fortunato, già Capo di gabinetto al MEF con Silvio Berlusconi, è tornato in auge come possibile collaboratore del neo Ministro all’Economia Giovanni Tria. Semplice sliding door per un altro big della macchina amministrativa, Giuseppe Chinè, attuale capo di Gabinetto della (fu) Ministra alla salute Beatrice Lorenzin, che potrebbe passare anch’egli all’Economia in qualità di Consigliere giuridico.
Un ritorno sicuro dovrebbe essere quello di Vito Cozzoli, già capo di gabinetto di Federica Guidi al MISE che l’ex ministro Carlo Calenda appena entrato allo Sviluppo aveva rimosso e che ribadisce con numerosi tweet i motivi della propria scelta invitando il neo-ministro Luigi Di Maio dei 5 Stelle a ripensarci. Tandem partenopeo al Ministero dell’Ambiente, dove il generale Roberto Costa, appena nominato alla guida del dicastero di via Cristoforo Colombo, potrebbe farsi affiancare da Pierluigi Petrillo, già collaboratore della giunta campana di Vincenzo De Luca.
Accanto al nome di Carlo Deodato, Consigliere di Stato da anni a capo dell’ufficio legislativo di Palazzo Chigi, gli occhi sono tutti puntatati sulle mosse di un grand commis d’eccezione, Roberto Garofali, già Segretario generale della Presidenza del Consiglio con Enrico Letta, Capo gabinetto al ministero della P.A. con il Governo di Mario Monti e Capo dell’ufficio legislativo di Massimo D’Alema quando questo era ministro degli esteri. Si vocifera un suo ritorno, a braccetto di Giuseppe Conte, Luigi Di Maio e Matteo Salvini per scrivere la storia del Governo del Cambiamento anche se, al momento, la narrazione sembra essere più quella immaginata da Tomasi di Lampedusa: «tutto deve cambiare perché tutto resti come prima».