La Corte di Cassazione ha confermato quanto già stabilito dai Giudici d’Appello con una riduzione delle pene per alcuni imputati. Per altri il processo tornerà in Corte d’Appello. Stefano Cucchi è morto in conseguenza delle percosse inflittegli mentre era in custodia della Stato.
Non bisogna generalizzare ma bisogna esortare le istituzioni ad adottare i rimedi perché ciò che è accaduto non accada più, perché l’istituzione deve confrontarsi con gli errori dei suoi componenti, la responsabilità penale è personale in Italia e paga chi è riconosciuto colpevole dalla legge.
C’è un però. La sentenza restituisce la verità a Stefano Cucchi ed alla sua meravigliosa famiglia che ha lottato contro tutto e contro tutti per far emergere quanto accaduto al geometra romano. La vicenda processuale non si ferma, ma siamo sicuri per i parenti di Stefano Cucchi finalmente ci sarà un poco di pace.
Per noi tutti rimane un altro obiettivo: Stefano era e resterà uno di noi, forse più debole, forse più confuso, ma era e resterà un cittadino abbandonato dallo Stato. Tantissimi in quelle ore tragiche sono entrate in contatto con Stefano, avevano tutti il dovere di fare di più, noi cittadini dobbiamo pretendere che anche quando siamo a pezzi, confusi, in errore abbiamo dei diritti.
Stefano Cucchi aveva bisogno di una collettività attiva non condizionata da stereotipi e facili pregiudizi. Tutti possiamo cadere, sbagliare, trovarci in posizione di illegalità, in Italia dove c’è una sanzione penale per tutto è più facile di quanto non si pensi. Ebbene il livello di civiltà di una collettività si misura proprio sull’integrazione ed il sostegno dato a chi è in difetto e debole.
Giustizia è fatta si dirà, ma non c’è la certezza che un domani qualcuno di noi non possa subire lo stesso calvario di Stefano Cucchi. Il suo sacrificio ci deve insegnare che occorre vigilare con attenzione sulle condizioni carcerarie e sul sistematico ricorso alla carcerazione preventiva, una sorta di pena anticipata in attesa di giudizio.
Occorre che il sistema superi norme ottocentesche e mentalità prevaricanti, un cittadino deve essere protetto sempre dal proprio Stato, ancor di più quando è in carcere o semplicemente in custodia.
Il rischio è dietro l’angolo e se non si interviene, magari andando a votare il referendum sulla carcerazione preventiva, un’altra madre potrebbe piangere per un figlio abbandonato nell’ingranaggio del pianeta giustizia- carcere.
Il nostro sistema giudiziario ha bisogno di trasparenza, occorre che il cittadino, almeno fino alla condanna definitiva, sia sempre trattato come potenziale innocente e non come potenziale condannato, inammissibile quindi ogni forma di pressione e violenza. Non deve accadere mai più che in una caserma od in un ufficio di una qualsiasi forza dell’ordine qualcuno ritenga di poter abusare del proprio potere.
Questo il messaggio che ci lascia la vicenda di un ragazzo romano, vittima di un sistema che deve rigenerarsi e vivere la propria catarsi tragica, rimuovendo mentalità e prassi di pressapochismo che hanno reso possibile l’ingiusta morta prematura di un uomo che aveva diritto di vedere tutelata, in concreto, la presunzione d’innocenza che la legge italiana riconosce a tutti i cittadini.