Quanto sono sicure le nostre città? E non solo sotto il punto di vista del controllo della criminalità, ma anche relativamente al fatto dei controlli – apparentemente legali – finalizzati proprio a prevenire e proteggere i cittadini dalla malavita.
Per questo nei giorni scorsi il Garante per la protezione dei dati personali ha acceso un faro sui sistemi di videosorveglianza intelligente in uso ad alcuni comuni. Ad esempio, poco tempo fa, il Comune di Lecce aveva annunciato l’avvio di un sistema che prevede l’impiego di tecnologie di riconoscimento facciale in dotazione alla polizia locale. Peccato però che, se meritevoli nell’intento, tale strumentazione contrasti con la normativa europea e nazionale. Infatti, secondo le disposizioni in vigore, il trattamento di dati personali realizzato da soggetti pubblici, mediante dispositivi video, è generalmente ammesso se necessario per l’esecuzione di un compito di interesse pubblico o per l’esecuzione di un compito di interesse pubblico o connesso all’esercizio di pubblici poteri.
Ma i Comuni, ha sottolineato il Garante, possono utilizzare impianti di videosorveglianza, solo a condizione che venga stipulato il cosiddetto “patto per la sicurezza urbana tra Sindaco e Prefettura”. Inoltre, specifica sempre l’Autorità privacy, fino all’entrata in vigore di una specifica legge in materia, e comunque fino al 31 dicembre 2023, in Italia non sono consentiti l’installazione e l’uso di sistemi di riconoscimento facciale tramite dati biometrici, a meno che il trattamento non sia effettuato per indagini della magistratura o prevenzione e repressione dei reati.
Sempre in materia di videosorveglianza, il Garante ha avviato un’istruttoria anche nei confronti del Comune di Arezzo, dove, secondo notizie di stampa, a partire dal 1° dicembre 2022 è prevista la sperimentazione di “super-occhiali infrarossi” (che rileverebbero le infrazioni dal numero di targa e, collegandosi ad alcune banche dati nazionali, sarebbero in grado di verificare la validità dei documenti del guidatore).
L’Autorità, anche in questo caso, ha messo in guardia dall’uso di dispositivi video che possano comportare – anche indirettamente – un controllo a distanza sulle attività del lavoratore e ha invitato al rispetto delle garanzie previste dalla disciplina privacy e dallo Statuto dei lavoratori.