Di V.Sor
Sono i giorni della stretta finale dell’esecutivo sul Recovery plan: in settimana il Consiglio dei ministri dovrebbe approvarlo e trasmetterlo in Parlamento oggi e domani, in tempo utile per l’invio a Bruxelles entro il 30 aprile. Si marcia a ritmi serrati, con incontri tra leader politici e sindacali e audizioni giornaliere nelle commissioni parlamentari. Si raccolgono pareri e proposte di miglioramento e si spinge per consentire all’Esecutivo di rispettare i tempi imposti da Bruxelles. Ieri i rappresentanti delle categorie economiche hanno incontrato il premier Draghi sulla programmazione del Recovery italiano. Carlo Bonomi, numero uno di Confindustria ha chiesto“ un sistematico coinvolgimento delle parti sociali nell’attuazione del Piano. Una vera “rete” nazionale, composta da soggetti pubblici e privati, per monitorare e accompagnare l’esecuzione dei progetti”. La proposta è stata condivisa dai leader di Cgil, Cisl e Uil. Intanto i partiti pressano il Governo ma voci ricorrenti lasciano trapelare che la governance sarà definita in un momento successivo, con apposito decreto.
L’attesa del testo si accompagna alla curiosità di capire se e quanta parte dei fondi europei del Next Generation EU (191,5 miliardi da spendere entro il 2026) saranno destinati alla ripartenza del Sud Italia: il PNRR prevede che una quota significativa di risorse per il Mezzogiorno, oltre a quelle per donne e giovani nel pilastro inclusione sociale. Potrebbe essere la strada per colmare finalmente lo storico divario tra nord e sud che caratterizza la storia del Paese fin dai tempi dell’unità d’Italia. Oggi la situazione sembra aggravata dalla crisi economica e dalla pandemia. Le difficoltà strutturali che da sempre opprimono il sud, in termini di struttura produttiva e di assetto istituzionale, si accompagnano ad una situazione di fragilità complessiva del Meridione .Più che in passato, si cercaun cambiamento radicale delle politiche di sviluppo ed i fondi del Recovery plan potrebbero essere l’occasione giusta per un progresso reale e di lunga durata.
Sappiamo che i periodi di recessione sono terreno fertile per la crescita delle disuguaglianze. Durante i momenti di crisi, i lavori più vulnerabili e precari e le economie strutturalmente più deboli soffrono di più. Osservando la storia dell’Italia unificata, il divario tra il Pil del Nord e quello Sud è sempre diminuito nei periodi di crescita, in particolar modo durante il boom economico. Contrariamente, i periodi di recessione o stagnazione hanno sempre portato a un aumento delle disuguaglianze lungo lo stivale. Una tendenza che si è ripetuta con la pandemia. Le stime dell’Istat mostrano che il Pil del 2020 in Italia, corretto per gli effetti di calendario, è diminuito dell’8,9% mentre il Pil stimato su dati trimestrali grezzi è calato dell’8,8%.
Le analisi di Bankitalia ci dicono che il calo maggiore si è registrato al Nord, a causa dell’insorgenza precoce della pandemia in tale area geografica. E’al sud però che gli effetti della pandemia saranno più dannosi e prolungati nel tempo. Anche il Rapporto ISTAT 2021 sulla competitività dei settori produttivi ci mostra un impatto economico della pandemia sui territori eterogeneo e pervasivo. Tutte le Regioni sono oggi colpite dalla crisi ma l’impatto è più forte al Centro-Sud. Un indicatore del grado di “rischio combinato” (in termini di imprese e addetti) dei territori evidenzia che la crisi accentua il divario da sempre esistente tra le aree geografiche del Paese: delle sei regioni il cui tessuto produttivo risulta ad alto rischio combinato, cinque appartengono al Mezzogiorno, (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania e Sardegna) e una al Centro Italia (Umbria). Le sei regioni classificabili a rischio basso si trovano invece tutte al Nord (Piemonte, Liguria, Lombardia, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Provincia autonoma di Trento).Da questi dati nasce l’attesa di misure che favoriscano la ripresa post coronavirus sul territorio nazionale ma soprattutto nel Meridione.
Il PNRR già nella sua prima bozza prevedevauna quota significativa di risorse destinate al Sud e al suo sviluppo: si parlava di riapertura di cantieri, riavvio di opere infrastrutturali e progetti di ampia portata. Oggi invece, a pochi giorni dall’approvazione in Consiglio dei Ministri, si rincorrono voci di fondi scippati o aspettative deluse. Resterebbe invariato l’impianto del piano, articolato in 6 macro-missioni o aree di investimento: i temi della digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura farebbero la parte da leone con uno stanziamento di 46,3 miliardi. 69,8 i miliardi destinati a rivoluzione verde e transizione ecologica. 31,9 miliardi sarebbero destinati alle infrastrutture per una mobilità sostenibile, 28,4 all’ istruzione e 19,7 miliardialla salute.
Lo sviluppo del Mezzogiorno dovrebbe rientrare anche tra i 27,6 miliardi destinati all’inclusione sociale ma le voci di una diversa redistribuzione delle risorse si fanno pressanti. Una delegazione di cinquecento sindaci del Sud ha perciò aderito alla Rete “Recovery Sud”con l’intento di manifestarea Napoli il prossimo 25 aprile e chiedere al Governo di rispettare i criteri già stabiliti dall’Unione Europea. Le risorse dovrebbero essere assegnate sulla base della popolazione, del tasso di disoccupazione e dell’inverso del Pil pro-capite ma l’esperienza insegna che,fino alla fine, tutto può succedere. Ma soprattutto, ci si aspetta un coraggioso ed ambizioso programma complessivo di riforme, in grado di avviare un positivo effetto moltiplicativo di sviluppo, sperando che il recovery non diventi l’ennesima occasione sprecata.