In queste ore, mentre si stanno dragando tonnellate di sabbia per rimuovere la portacontainer Ever Given, la nave incagliata nel canale di Suez che blocca le merci di mezzo mondo dal 23 marzo scorso, ci si interroga se sia ancora sostenibile far passare milioni di merci in un imbuto. Ma mentre molti hanno confuso la Evergiven con la Evergreen, di certo questo canale di ever green ha ormai ben poco. Non è infatti più ammissibile che oltre trecento navi siano ancora attualmente in attesa che si liberi il passaggio.
Un’attesa che sta causando danni pari a circa nove miliardi di euro al giorno. Si parla dunque di dipendenza e di alternative. Sono allo studio da tempo nuove rotte come quella Artica, ribattezzata, non a caso, la nuova Suez, anche se la sua percorrenza è oggi consentita solamente grazie allo scioglimento dei grandi ghiacciai del Polo Nord.
Sul fronte dell’approvvigionamento energetico, in particolare per la distribuzione del gas, ad esempio, si sta lavorando per gasdotto North Stream 2, anche se quest’ultimo sta scatenando diversi problemi a livello diplomatico degni della Guerra fredda. Mentre il mondo è ancora alle prese con le varianti del Covid 19, esistono dunque alternative virtuose che favoriscono il commercio e lo sviluppo economico.
Nel 2016 è stato completato il raddoppio del canale di Panama. In Italia nel 2015 fu aperta al traffico la variante di valico lungo l’autostrada del Sole. Ma si lavora anche al secondo tunnel dell’alta velocità, tutt’ora in bilico tra cantieri e scetticismi. Forse è giunto il momento di progettare una variante anche per il canale di Suez o quanto meno prevederne interventi strutturali che possano scongiurare per sempre il blocco delle navi che vi transitano ogni giorno.
Nonostante il suo parziale raddoppio terminato nel 2015. Proprio perché, come spiega il capo dell’Authority del Canale di Suez, l’ammiraglio Osama Rabie, i venti sono stati uno dei fattori ma “non l’unica causa” dell’incidente, non escludendo appunto errori umani o tecnici, occorrerebbe evitare che il 10% delle merci mondiali possa rischiare nuovamente il collasso per un errore umano.
Occorre, dunque, ragionare su un’alternativa naturalmente solo dopo le opportune valutazioni in termini di costi-benefici economici, politici, ambientali e soprattutto geopolitica permettendo. Ma è chiaro che il commercio mondiale non può più muoversi su basi così fragili e precarie.