Al tavolo da biliardo le “spaccate” possono fornire spettacoli tanto inaspettati quanto divertenti. Una metafora che si presta alle scelte in campo economico dell’Esecutivo, dove contraddizioni e idee in conflitto tra loro la fanno da padrona. E come tirando un po’ a caso qualche bilia entra in buca, così possono crearsi imprevedibilmente scenari positivi dai quali ottenere risultati. Ma le congiunture favorevoli non sono eterne
Chiunque abbia giocato a biliardo almeno una volta nella vita sa che il Break, la “spaccata”, il consueto tiro iniziale, è di grande importanza. Serve ad aggiudicarsi punti prima che l’avversario abbia iniziato a giocare, a condizionare il suo avvio di partita e, in una certa misura, anche a impressionare lo sfidante. Un qualcosa che vale nelle partite occasionali tra amici, ma anche nelle sfide tra professionisti.
Lasciando perdere i tavoli da gioco seri, le spaccate più imprevedibili si possono ammirare nelle partite tra dilettanti: c’è chi assesta un colpo tanto efficace quanto insperato ma anche chi cicca clamorosamente. E poi c’è chi, colpendo un po’ a caso nel mucchio, riesce a buttare qualche bilia in buca rendendo difficile, a occhi non esperti, riconoscere una volontà di riuscita dietro quel colpo.
E’ un po’ quello che sta accadendo nell’Esecutivo gialloverde sul campo della politica economica. Se i due azionisti del governo sono abilissimi comunicatori, instancabili viaggiatori e sempiternamente vicini – nelle intenzioni – ai propri elettori, in materia di scelte economiche hanno il fare di due adolescenti che, nelle prime uscite serali, si avvicinano al tavolo da biliardo per darsi un tono, senza avere però le idee troppo chiare.
Il balletto sulla Flat Tax e l’alternativa della riduzione delle aliquote Irpef ma anche l’introduzione del salario minimo o il taglio del cuneo fiscale, il tutto senza curarsi troppo del discorso delle coperture, palesa una certa confusione sul concetto stesso di misure economiche.
Eppure tornando alla metafora di cui sopra le ultime “spaccate” hanno creato una situazione pressoché inedita rispetto al clima dei mesi passati. L’assestamento di bilancio – una vera e propria manovrina, checché se ne dica – realizzato per non incappare nella procedura di infrazione per debito eccessivo ha sistemato in parte le cose, tranquillizzando la Commissione europea e rassicurando i mercati che hanno risposto con prontezza, come testimoniato da uno spread in costante flessione fino ai 190 punti base degli scorsi giorni.
Un effetto che la Bce – ancora sotto l’egida di Mario Draghi – non ha mancato di sottolineare, spiegando che più in basso del negativo i tassi non possono andare, che in un clima di inflazione debole più di tanto la politica monetaria non può fare e che tocca ai governi portare avanti misure espansive e, all’Ue, chiudere un occhio o comunque essere propositiva verso queste.
Tra una sponda e una carambola il tavolo da gioco si è predisposto a favore del governo italiano. Con i tassi negativi sui titoli di Stato tedeschi gli investitori si sono orientati, per portare a casa guadagni, verso l’acquisto dei titoli dei Paesi più a rischio come Spagna, Grecia e naturalmente Italia. Btp più invitanti e differenziale con i Bund più contenuto hanno comportato una minor spesa sui tassi di interesse del nostro debito monstre, pari a circa 2 miliardi di euro.
Inoltre, come è noto, l’adesione alle due misure bandiera, Reddito di Cittadinanza e Quota 100 è stata minore delle aspettative, comportando risparmi per oltre 2 miliardi di euro. Ancora, la fatturazione elettronica, andata ormai a regime, sta impattando positivamente sull’evasione e il contrasto al sommerso potrebbe lievitare in utili che oscillano tra i 4 e i 7 miliardi di euro.
Si è creata così una grossa opportunità, magari non di chiudere la partita ma di archiviare una tortuosa sessione di gioco con un risultato positivo. La fortuna ha quindi, in qualche modo, aiutato gli audaci.
Ma si tratta di una situazione fragile, suscettibile a cambiamenti repentini e, come ha recentemente fotografato il Fondo Monetario Internazionale, il nostro Paese è ancora vulnerabile. Secondo l’ultimo rapporto di previsione di REF Ricerche resta la debolezza strutturale di fondo del Paese, e per il secondo e il terzo trimestre dell’anno si conferma un ulteriore rallentamento.
Un sentore già chiaro alle imprese, come dimostra il clima di fiducia, ma non ancora alle famiglie, le quali non hanno maturato una reale percezione. L’occupazione, anche se non sempre di qualità, regge e torna al massimo storico del 1977, i consumi galleggiano, anche se gli italiani stanno propendendo più al risparmio che alla spesa, ma l’export ha regalato un nuovo surplus di 5,3 miliardi di euro. Insomma, l’ambiente macroeconomico ha penalizzato delle componenti, preservandone delle altre.
L’Italia però non può permettersi in alcun modo mosse sbagliate, come l’aumento delle aliquote Iva o l’azzardo di manovre finanziarie ardite con misure pensate in deficit. La pena è già nota ed è dietro l’angolo e risponde al nome di declassamento, che se sotto la soglia di investment grade impedirebbe alla Bce di dare una mano con l’acquisto di titoli di Stato, aprendo la porta alla via del default. Il momento è quindi tanto propizio quanto effimero: chissà che i due principali protagonisti del governo, sempre sull’orlo di una crisi imminente ma che non arriva mai, non se ne rendano conto in tempo.