Il presidente della Bce è riuscito, in una sola mossa, a rassicurare i mercati, livellare lo spread, dare una strigliata ai governi europei, una bacchettata alle banche e a scatenare l’ira o ancor più l’invidia di Donald Trump
Inserire il gettone, selezionare il livello. Hard, difficile, che per i giocatori esperti è il solo possibile. E poi via, quadro dopo quadro a farsi venire i calli sui polpastrelli lungo l’ultima – e va da sé – più complessa partita. Movenze da sala giochi d’altri tempi dove gli eroi dei videogame platform erano per lo più personaggi bizzarri. Ma c’erano anche personaggi assurdamente ordinari catapultati in situazioni bizzarre, come Super Mario.
Per chi non sapesse dell’idraulico italoamericano che affronta avversità indicibili per liberare la sua bella principessa – oltre a chiedersi in che alterazione spazio temporale abbia vissuto negli ultimi trent’anni – c’è poco da fare. C’è un altro Mario però – nell’aspetto ben più ordinario dell’omonimo protagonista dei videogame – ma che, quanto all’affrontare situazioni bizzarre potrebbe seriamente giocarsela, di cui è il caso di narrare le gesta. Si tratta dell’ormai dimissionario presidente della Bce, l’italianissimo Mario Draghi che, proprio in questi giorni, ha inserito l’ultimo gettone per giocare la partita di chiusura del suo mandato a capo della Banca Centrale Europea.
Draghi, in una sola mossa, è riuscito a rassicurare i mercati, livellare lo spread (in particolar modo il nostro), dare una strigliata ai governi europei dai primi agli ultimi della classe, una bacchettata alle banche e a scatenare l’ira o ancor più l’invidia di Donald Trump. Anche solo uno di questi risultati basterebbe ad anteporre il Super davanti al Mario.
Il presidente della Bce ha infatti confermato quello che era ben più di un rumor già da mesi, ovvero il lancio di un nuovo ciclo di quantitative easing. Non è stato l’annuncio di per sé a scatenare tutte le reazioni di cui sopra, bensì il sottotesto dell’annuncio stesso. In primis l’entità dell’acquisto sui mercati secondari di titoli di stato da parte della Bce: 20 miliardi di euro al mese. In seconda battuta Draghi ha cancellato la data di scadenza a questa operazione, spiegando, senza muovere un sopracciglio, che la Bce continuerà ad acquistare titoli finché ce ne sarà bisogno. E ancora, la decisione di far partire il tutto da novembre, quando in vetta all’Eurotower ci sarà Christine Lagarde, confezionando un passaggio di testimone che più illustre non si può.
Come se non bastasse, il presidente della Bce ha messo anche la fatidica ciliegina su questa torta di politica monetaria espansiva: un taglio dei tassi sui depositi di 10 punti, una decisione non meno incisiva del nuovo QE. Se nel primo caso i destinatari del messaggio sono gli stati membri della Ue con un, diciamolo prosaicamente, “le spalle più coperte di così non si può”, il taglio dei tassi sui depositi punta dritto agli istituti di credito. Alzare il balzello dallo 0,4% allo 0,5% per tenere in custodia i soldi delle banche nei “forzieri” della Bce vuol dire costi in aumento per denaro “non operativo”. Tanto meglio sarebbe quindi che le banche lo usassero per concedere più prestiti a famiglie e privati, così da innescare un meccanismo che dal maggior consumo porti a una nuova crescita.
Una manovra, quella di Draghi, che non ha incassato solo un plauso indistinto ma che, come è presumibile, ha destato anche malumori e mal di pancia.
Quel che è certo è che il mandato di Draghi è stato caratterizzato da un sempiterno clima di difficoltà: dall’esordio con l’Europa stremata dalla Grande Recessione, alle battute finali con il Vecchio continente minacciato dalle lotte commerciali tra Usa e Cina, ondate di sovranismo antieuropeista, il pasticciaccio brutto della Brexit e sulle soglie di una recessione più indolente di quella di dieci anni fa ma comunque minacciosa.
Ad oggi, in uno scenario del genere, con la debolezza tedesca che non pare così transitoria, con un debito medio dell’area euro all’87% secondo S&P, l’inflazione ancorata all’1% inamovibile anche nel 2020 e i tanti limiti sull’uso del deficit che dovranno essere necessariamente rivisti, il presidente della Bce, pur consapevole che la politica monetaria da sola non possa risolvere tutto, ha pensato di ricaricare il bazooka per l’ultima volta. Poi toccherà ad altri. Si spera altrettanto Super.