In materia di educazione l’Italia è oggi dove l’Europa era (in media) dieci anni fa. Ma dibattito assente. I dati Asvis in una intervista di LabParlamento al suo portavoce
I dati dell’Alleanza Italiana per lo sviluppo sostenibile (Asvis) confermano che in Italia non si è ancora radicata la “cultura dello sviluppo sostenibile”. Pur essendo il primo paese dell’OCSE ad avere previsto per legge l’obbligo di valutare le politiche passate e future in base ad indicatori di benessere che vanno “oltre il PIL”, media e politica continuano a pensare che la dimensione economica sia totalmente prevalente e che riuscendo ad accelerare la crescita del Pil tutti i problemi troveranno soluzione.
LabParlamento ha incontrato il Prof. Enrico Giovannini, Portavoce dell’Asvis, Co-chair dell’ “Independent Expert Advisory Group on the Data Revolution for Sustainable Development”, autore del libro “L’utopia sostenibile”, per approfondire questi temi e capire quale è la strada giusta da percorrere per avere un futuro “sostenibile”.
Prof. Giovannini, lei ha incontrato in queste settimane alcuni leader politici per presentare le proposte dell’Asvis per perseguire gli obiettivi Onu in materia. Pensa che sarà possibile avere una prossima legislatura orientata alla sostenibilità?
“E’ non solo una speranza, ma una necessità. Nei prossimi anni l’Italia, come molti altri paesi, dovrà assumere decisioni importanti sui temi del futuro energetico, della mobilità e della qualità della vita nelle città, dell’adattamento ai cambiamenti climatici, della gestione degli effetti sociali dell’automazione, solo per citare alcuni campi. Di fronte a queste scelte “epocali” dovremo non solo rispettare gli impegni assunti a livello internazionale, ma domandarsi quale modello di sviluppo intende seguire: ecco, in molte forze politiche ho trovato la consapevolezza della necessità di un cambio di approccio, anche se sembra ancora mancare quella “visione” che invece sta emergendo in altri paesi. In ogni caso, proprio in questi giorni pubblicheremo la risposta delle forze politiche al nostro appello e ognuno potrà giudicare le diverse posizioni espresse.
Nel dibattito politico pre-elettorale lo sviluppo sostenibile pare essere il grande assente. Tutti avanzano proposte, ma nessuno per esempio ho citato i dati di qualche giorno fa della prima relazione del Mef sugli indicatori di benessere. Perché secondo lei la “cultura della sostenibilità” fatica così tanto a trovare spazi in campagna elettorale?
“Per tre ragioni: la prima ha a che fare con la difficoltà ad assumere una visione olistica ed integrata delle diverse tematiche. Molti ritengono ancora che la dimensione economica sia totalmente prevalente e che riuscendo ad accelerare la crescita del Pil tutti i problemi troveranno soluzione. Non solo non è cosi, e lo vediamo in termini di andamento crescente delle disuguaglianze anche nella fase di ripresa economica, ma è ben noto che, in assenza di una transizione ecologica, un aumento della produzione tenderebbe ad aggravare i già rilevanti problemi ambientali, con effetti negativi sulla salute e la qualità della vita dei cittadini, senza parlare dei drammi causati dai “disastri naturali”, in realtà causati dall’uomo”.
“La seconda ragione è legata al fatto che alcune scelte possono comportare costi per determinate categorie economiche e sociali, e quindi non si ritiene opportuno rischiare di perdere il loro consenso. Ma così facendo si dimentica che le giovani generazioni, che rischiano di essere le grandi “astenute” nelle prossime elezioni, hanno ormai una forte sensibilità nei confronti del tema dello sviluppo sostenibile e quindi premierebbero quelle forze politiche capaci di disegnare un futuro migliore”.
“La terza motivazione è legata alla difficoltà dei media a trattare problemi complessi in modo sistematico: spesso i problemi, anche rilevanti, vengono presentati a partire da fatti di cronaca apparentemente slegati tra di loro o da polemiche tra individui. In questo modo è difficile offrire ai lettori un quadro integrato delle diverse problematiche, il che porta le forze politiche ad insistere sulle proposte relative ad un aspetto specifico, più che ad una visione d’insieme. D’altra parte, i temi di cui parliamo sono molto difficili da affrontare ed è noto che i politici non amano parlare di problemi per i quali non possono vantare di possedere una soluzione chiara e definitiva”.
A proposito dei dati del Mef, il ministro Padoan ha detto che tutto sommato in Italia c’è una evoluzione positiva del benessere. Ma se leggiamo i dati dell’Asvis, anch’essi di questi giorni, non è proprio così. Peggioriamo infatti in termini di povertà, disuguaglianze, condizioni economiche e delle città, acqua, ecosistemi terrestri…
“Gli indicatori prodotti dall’ASviS mostrano le tendenze dei fenomeni fino al 2016, mentre il rapporto pubblicato dal Mef presenta le previsioni per il periodo 2018-2020 sulla base delle decisioni assunte nella legge di bilancio. Quindi, non c’è necessariamente una contraddizione. Inoltre, mentre gli indicatori compositi dell’ASviS sintetizzano l’andamento di oltre 90 indicatori elementari, quelli del Governo sono solo quattro (dovrebbero diventare 12 dal prossimo DEF). Devo però dire che sono rimasto dispiaciuto della poca attenzione posta dai media sul rapporto del Mef: infatti, l’Italia è il primo paese dell’OCSE ad avere previsto per legge l’obbligo di valutare le politiche passate e future in base ad indicatori di benessere che vanno “oltre il PIL”. Il successo di una rivoluzione di questo tipo dipende anche dal fatto che l’opinione pubblica discuta di questi temi, il che dimostra ancora una volta quanta strada resta da fare per cambiare in profondità i termini del dibattito politico”.
Per fortuna però, andiamo meglio sul fronte dell’educazione, dell’uguaglianza di genere, dell’innovazione e della salute. Insomma, abbiamo di che sperare per il futuro
“I segnali positivi non mancano e vanno giustamente sottolineati. Ma non dobbiamo dimenticare che la distanza tra la situazione attuale e gli obiettivi concordati a livello internazionali è ancora molto ampia. Ad esempio, nel campo dell’educazione l’Italia è oggi dove l’Europa era (in media) dieci anni fa. Analogamente, le disuguaglianze di genere sono ancora fortissime: basti pensare al divario tra stipendi di donne e uomini a parità di funzione svolta. Non si tratta, quindi, di giudicare solo le tendenze passate, per quanto positive, ma bisogna impegnarsi per accelerare il passo al fine di raggiungere la “testa” delle classifiche internazionali. L’Italia è un paese che deve puntare ad essere un’eccellenza, non ad essere un paese di metà classifica”.
Nel suo ultimo libro (“L’utopia sostenibile”) ha individuato tre componenti indispensabili alla realizzazione dello sviluppo sostenibile: tecnologia, governance e cambiamento di mentalità. Ci spiega quale è il “fil rouge”che le unisce?
“Senza un grande salto tecnologico, in grado di offrire soluzioni sostenibili e a costi accettabili nei campi dell’energia, della mobilità, della produzione di cibo, del riciclo dei materiali e dell’economia circolare, tanto per citare solo alcuni aspetti, non è possibile conciliare lo sviluppo economico e i limiti planetari. D’altra parte, per governare processi complessi e interrelati tra di loro come quelli di cui parliamo serve una forte capacità di coordinamento delle politiche e delle istituzioni che operano ai diversi livelli territoriali (internazionale, nazionale, regionale, cittadino). Infine, senza un profondo cambiamento di mentalità non è possibile mutare gli stili di vita e orientare le decisioni politiche ed economiche verso lo sviluppo sostenibile. Ecco perché i tre aspetti sono ugualmente importanti. Ma non è impossibile affrontare questa complessità e molti paesi stanno andando in questa direzione, beneficiando dei risultati della ricerca scientifica (anche nel campo delle scienze politiche) stimolata dall’adozione dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile”.
“Governi, imprese, organizzazioni della società civile, cittadini devono cooperare per cambiare il modello di sviluppo e l’esperienza dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile, che riunisce più di 180 organizzazioni della società italiana, dimostra la possibilità di lavorare insieme, al di là delle diversità. Nel libro “L’utopia sostenibile” cerco di mostrare come principi “alti” e apparentemente distanti dalla realtà possano essere trasformati in programmi politici e culturali concreti, in grado di spingere un paese come l’Italia a realizzare un cambiamento profondo, così da aumentare il benessere equo e sostenibile dei suoi cittadini”.