Due sorelle palermitane “minacciate” dalla presenza di tre telecamere istallate da un condominio vicino alla loro abitazione chiedevano i danni da “invasione della privacy” al Tribunale, asserendo che quegli occhi elettronici – istallati ai fini di prevenzione di furti e scassi – provocavano in loro un continuo stato di ansia e stress, stante il timore che le proprie immagini venissero divulgate o utilizzate per scopi non leciti ovvero per conoscere spostamenti e frequentazioni delle stesse, costringendole a mutare le proprie abitudini di vita, evitando di invitare persino i nipoti nella propria abitazione.
È questo il caso che, qualche giorno fa, il Tribunale di Palermo si è trovato davanti, dovendo di conseguenza pronunciarsi se delle telecamere di sicurezza fossero davvero capaci di invadere la sfera intima e personale delle persone finite nel loro spazio d’osservazione e, di conseguenza per loro, fosse possibile ottenere un risarcimento per la lesione della privacy.
I proprietari delle abitazioni presenti nel complesso residenziale distante 400 metri alle due sorelle avevano infatti deliberato, nel 2013, l’istallazione di un impianto di videosorveglianza all’ingresso del complesso edilizio onde scongiurare, per motivi di sicurezza, l’introduzione di soggetti malintenzionati all’interno delle abitazioni, preda di ricorrenti furti. I dati acquisiti venivano registrati su un hard disk per poi essere distrutti nell’arco temporale di 24 ore.
L’impianto era stato reso concretamente funzionante solo a maggio 2014, segnalandone la presenza attraverso l’apposizione della prescritta cartellonistica posta all’ingresso della strada ed in prossimità dell’impianto, sino al 2016, anno in cui grazie al primo ricorso delle sorelle il Tribunale di Palermo aveva pronunciato in via cautelare lo spegnimento dei dispositivi.
La pretesa delle due sorelle – quantificata in 20.000€ di risarcimento – si basava sul fatto di avere patito un danno rilevante da tale fatto, stante l’idoneità delle tre telecamere poste sul palo vicino alla loro casa a determinare una situazione lesiva della riservatezza e della loro vita privata, tale da provocare in loro un costante stato di agitazione, non essendo a conoscenza delle finalità del trattamento e dell’utilizzo dei dati acquisiti.
Il Tribunale, dovendosi esprimersi, ha ritenuto sì che le ricorrenti abbiano subito una lesione del diritto alla riservatezza ma non così oneroso da meritare un risarcimento, non giudicando la gravità dell’offesa arrecata dalle tre telecamere così rilevante, stante proprio il requisito della gravità necessario per l’ammissione a risarcimento dei danni non patrimoniali alla persona conseguenti alla lesione di diritti costituzionali inviolabili.
Il danno, secondo i giudici, deve incidere oltre una certa soglia minima, cagionando al soggetto un pregiudizio serio. La lesione deve eccedere una certa soglia di offensività, rendendo il pregiudizio tanto serio da essere meritevole di tutela in un sistema che impone un grado minimo di tolleranza. Il filtro della gravità della lesione e della serietà del danno, infatti, attua il bilanciamento tra il principio di solidarietà verso la vittima, e quello di tolleranza, con la conseguenza che il risarcimento del danno non patrimoniale è dovuto solo nel caso in cui sia superato il livello di tollerabilità ed il pregiudizio non sia futile.
In conclusione, dunque, il Tribunale ha deciso che il danno patito dalle stesse non possa considerarsi “serio” e, dunque, meritevole di tutela risarcitoria; lo stato di ansia e stress dalle due sorelle, infatti, non ha superato quel livello di tollerabilità che è imposto dal vivere sociale.