Lega e M5S, incartati su programma e premier, si rifugiano nella dilatazione dei tempi e la consultazione della base. La pazienza motivata del Colle
Di S.D.C.
La ripresa odierna del confronto sul programma, trova Cinque Stelle e Lega in un clima di grande difficoltà all’indomani della nuova salita a vuoto sul Colle.
Ci sono evidenti distanze su alcuni punti qualificanti del “contratto” (a cominciare dall’immigrazione) e non si trova la “quadra” sul candidato premier, politico o terzo che sia, la cui spasmodica ricerca agli occhi del Quirinale ha offerto un’immagine assai poco edificante. Per non parlare della scelta di invertire i termini della questione (prima il programma e poi il premier) che relega il candidato a figura notarile mentre, costituzionalmente, è il Presidente della Repubblica che gli dà l’incarico, pieno o limitato, ed è costui a stendere il programma e indicare i ministri per cercare poi, in Parlamento, di ottenere su entrambi la fiducia. La stessa annunciata consultazione interna di Cinque Stelle e Lega (sulla rete la prima, nei gazebo la seconda) rappresenta, in questo scenario, un ulteriore vulnus istituzionale che, sebbene ne siano evidenti i motivi (legittimazione del mandato o, al contrario, tentativo nemmeno troppo nascosto di motivare la chiusura del negoziato), è utile però a guadagnare ulteriore tempo. Almeno fino a lunedì prossimo.
Ma servirà questo tempo, concesso sia pure a malincuore da Sergio Mattarella, oppure si va ormai incontro alla mancata scrittura di questa “nuova pagina di Storia”, per usare le parole ricorrenti di Luigi di Maio?
Qui la previsione non è facile. E tutto può ancora accadere. Sebbene l’evidente, quasi irato, pessimismo di Matteo Salvini, ieri si sia scontrato fotograficamente con l’imbarazzo della retorica ormai fine a sé stessa del leader M5S. Dei due, si capisce ormai con chiarezza, il primo uscirebbe assai meglio del secondo da un fallimento. Anche se non sarebbe indolore un ritorno a mani vuote nella casa del Centrodestra dove Silvio Berlusconi ha ritrovato forza e carisma a seguito della riabilitazione e Giorgia Meloni continua ad affermare il proprio sbigottimento per il tentativo governativo della Lega, con il classico: “Ma chi gliel’ha fatto fare?”.
Il leader del Carroccio sembra in effetti tentato dalla rinuncia. In fondo, con un Centrodestra sempre più col vento in poppa, il voto anticipato consentirebbe di fare a meno di improbabili faticose alleanze. Però bisogna fare in modo che la ritirata non sembri una sconfitta. E non sarà facile. Assai più grave, se fosse, il “dopo” per Luigi Di Maio e la sua ostentata voglia di esecutivo con contraccolpi interni nel Movimento di non semplice ricomposizione.
In un certo senso, insomma, i due leader sembrano avanzare più per inerzia e timore degli effetti di un fallimento che per coesa, promettente volontà di portare a casa il risultato. Si vedrà nelle prossime ore l’effetto finale di queste dinamiche contrapposte.
Quanto al Quirinale, va dato atto alla grande pazienza del Presidente se, finora, la delicata situazione dipanatasi in questi 70 giorni ed oltre di crisi non è sfociata in crisi istituzionale. In ogni caso, il nuovo slittamento servirà anche a Mattarella: si chiuderà infatti la finestra per il voto in estate e acquisirà più forza l’eventuale ricorso al Governo neutrale il cui varo è stato prima fortemente criticato e poi congelato dal “lasciateci provare” del duo Di Maio-Salvini. Rendendo pubblicamente, plasticamente evidente la scarsa attitudine al compromesso governativo delle forze in campo.
Questo però non ci esime dal considerare sempre più grave l’attuale stallo. Il voto in autunno, con un Governo neutrale magari in carica ma sfiduciato, non rallegra il Presidente per i noti motivi: mancanza di peso europeo e internazionale del Paese, necessità di varare una legge di bilancio e una manovra economica quasi al buio, con la paura dell’esercizio provvisorio dietro l’angolo.
Ecco perché l’unica via di uscita sarebbe quella che si presenta però fin dall’inizio la più in salita: l’appoggio di “chi ci sta” al Governo del Presidente per scavallare la fine d’anno e portare il Paese al voto con le elezioni europee. La pazienza di Mattarella potrebbe essere giustificata proprio dal portare, scientemente, alle estreme conseguenze l’eventuale fallimento di Lega e M5S per renderli meno avversi alla proposta. Un orizzonte, al momento, inutile nasconderlo, quasi impossibile. Con il che si tornerebbe al punto di partenza.