Consumato da situazioni paradossali e messo in crisi da dossier lasciati in eredità dal precedente Esecutivo (riforma del Mes su tutti), il Conte II ha esaurito prospettive e spazi di manovra. Salvo colpi di reni non all’orizzonte, si profilano inevitabili la conclusione della Legislatura e il ritorno al voto
Il Governo Conte II è a un bivio e ha bisogno che le forze che lo sostengono si rendano protagoniste di un cambio di registro a 180°, scrivevamo neanche due settimane fa. Malgrado sia trascorso un lasso temporale così breve, risulta tuttavia già possibile dare un seguito a quelle valutazioni, e affermare che nei fatti l’Esecutivo composto da Movimento 5 Stelle, Partito Democratico, Italia Viva e Liberi e Uguali è come se non esistesse più e i suoi protagonisti stessero solo aspettando di certificarne in via definitiva la fine.
Al cospetto delle situazioni paradossali cui si assiste ogni giorno, e che aumentano su scala quotidiana, non si può non arrivare a considerazioni di questo tipo, le uniche possibili di fronte a partiti di maggioranza che si comportano come se fossero all’opposizione (di cui, se potessero, ripeterebbero le tesi alla lettera), a leader dell’area governativa che parlano dei vertici convocati a Palazzo Chigi come se fossero qualcosa di estraneo e a forze politiche che rivendicano come proprie scelte fatte da altri, malgrado fino a poco tempo fa le avessero contestate con decisione.
Parlando più chiaramente, risulta a dir poco spiazzante che il Conte II sia entrato a tutti gli effetti in crisi a causa di una serie di dossier lasciati in eredità dal Conte I (dalla riforma del Mes allo stop alla prescrizione, passando per Ilva, Alitalia e autonomie regionali), e che su argomenti così delicati l’M5S provi a mettere in discussione quanto da se stesso avviato tra il giugno 2018 e lo scorso agosto, con i democratici inchiodati nel difficile (e non esercitabile in eterno) ruolo di partito responsabile e i renziani oscillanti tra il desiderio di sfruttare ogni occasione per sottrarre consensi agli alleati-avversari e un disimpegno accentuato dagli ultimi sviluppi delle indagini fiorentine sulla Fondazione Open.
Il caso più emblematico di tutti è rappresentato dalle informative in Parlamento del Presidente del Consiglio sulla riforma del Meccanismo europeo di stabilità, andate in scena nella giornata di ieri, durante le quali Giuseppe Conte (in un’atmosfera molto simile a quella del famoso discorso del 20 agosto) per respingere le accuse di tradimento degli interessi nazionali avanzate dal suo ex vice Matteo Salvini ha accusato, in sostanza, anche Luigi Di Maio di non aver mosso un dito sul tema nell’arco dell’ultimo anno.
Non è un caso che il Ministro degli Esteri non abbia mai applaudito l’intervento alla Camera del premier (il capo politico grillino non ha assistito all’acceso dibattito in Senato), né che nella mattinata odierna sia comparso sul Blog del Movimento un post nel quale si fa presente che “decideremo noi se e come dovrà passare questa riforma del Mes”, ma la palese vicinanza di Di Maio alle posizioni di Salvini sui progetti di revisione dell’Unione economico-monetaria europea minano alla base la credibilità di un Esecutivo nato per rimediare all’isolamento dell’Italia a Bruxelles determinato dall’esperienza gialloverde, ed è uno dei segnali che, al di là del desiderio di allontanare lo spettro delle elezioni anticipate, un’anima la compagine ministeriale del Conte II non ce l’ha e non l’avrà mai, con buona pace dei “progetti alti da portare avanti con la sinistra” di cui parlava Beppe Grillo in occasione della sua ultima trasferta romana.
Quanto appena evidenziato sulle modifiche da apportare al Fondo Salva Stati si potrebbe estendere alle critiche con cui M5S e Italia Viva hanno preventivamente impallinato la proposta di legge quadro sulle autonomie lanciata dal ministro dem degli Affari Regionali Francesco Boccia, all’inconcludenza del confronto sui correttivi da introdurre ai processi penali per bilanciare il blocco della prescrizione dopo le sentenze di primo grado (atteso a partire dal prossimo 1° gennaio) e alle modalità con cui le forze di maggioranza stanno conducendo a Palazzo Madama l’esame in prima lettura della Legge di Bilancio 2020, provvedimento che ha accumulato un ritardo tale da rischiare di non vedere la luce entro la fine dell’anno, qualora sorgesse un imprevisto qualsiasi.
Di conseguenza, un Governo mai nato come è stato finora il Conte II ha esaurito prospettive e spazi di manovra, a meno di non consumare in maniera irrimediabile la pazienza e la fiducia di cittadini, imprese e investitori esteri. Se, come appare probabile, non arriverà un colpo di reni a imporre un cambio di rotta tale da superare definitivamente il caos permanente in cui è precipitato l’Esecutivo, si profilano inevitabili la conclusione della Legislatura e l’apertura delle urne, solo scongiurate in estate.