Da un lato l’Ue ha concesso a Londra un’ulteriore proroga della data di uscita al 31 gennaio 2020, dall’altro i cittadini britannici torneranno al voto il 12 dicembre. Conservatori e laburisti si giocheranno il tutto per tutto, nessuno scenario può essere escluso
Si giocherà in due tempi la nuova puntata che, da qui alle prossime settimane, andrà ad arricchire la tormentata saga della Brexit, ormai giunta abbondantemente oltre i 3 anni dal referendum del giugno 2016.
Da un lato, come nelle attese, gli Stati membri dell’Unione europea lunedì 28 ottobre hanno dato il via libera a una nuova proroga della data di uscita del Regno Unito, rimandandola al 31 gennaio 2020, come richiesto (contro la sua volontà) dal primo ministro britannico Boris Johnson. Per la precisione, si tratta di una flextension, ossia un’estensione flessibile in base alla quale Londra potrebbe separarsi da Bruxelles anche prima del nuovo termine, qualora Westminster approvasse l’accordo stretto da Johnson con la Commissione Ue il 16 ottobre scorso.
Ma proprio quest’ultimo punto rappresenta l’altro versante della questione, dal momento che il Primo Ministro dall’inizio della settimana ha cercato di ottenere il via libera a elezioni anticipate, in modo da aggirare una volta per tutte (nelle sue speranze) l’ostacolo di un Parlamento che non ha assecondato in alcun modo il disegno di portare a tutti i costi la Gran Bretagna fuori dall’Europa il 31 ottobre. Al quarto tentativo, andato in scena nella serata di martedì 29 ottobre, Boris Johnson è stato in grado di portare dalla propria parte i due terzi della Camera dei Comuni necessari per sancire il ritorno al voto, che avrà luogo il 12 dicembre (era dal 1923 che i seggi non si aprivano nel mese delle festività natalizie).
Per quanto il futuro dei rapporti con l’Ue non sarà formalmente sulla scheda che i cittadini britannici si troveranno tra le mani, la Brexit sarà senza dubbio l’argomento sul quale si giocherà e si deciderà la campagna che partirà mercoledì 6 novembre, quando verrà sciolto l’attuale Parlamento. Ogni partito e ciascuno dei principali leader nazionali si giocherà il tutto per tutto in un’autentica battaglia elettorale destinata a sancire la strada che il Regno Unito imboccherà negli anni a venire, e proprio la palese importanza rivestita da queste elezioni rende già da adesso azzardato formulare ipotesi su favoriti e inseguitori, per quanto gli ultimi sondaggi attribuiscano ai Tories un vantaggio in media di oltre 10 punti sul Labour.
Con tutta probabilità, nella divisione ormai tribale della società britannica in fautori del Leave e del Remain, tra conservatori e laburisti avrà la meglio chi riuscirà a limitare la perdita di voti in favore della concorrenza rappresentata, rispettivamente, dal Brexit Party di Nigel Farage (da tempo fautore di una rottura senza compromessi con l’Ue) e dai liberaldemocratici guidati da Jo Swindon, i quali ambiscono ad attrarre il voto urbano filoeuropeo con la loro promessa di revocare la procedura di separazione da Bruxelles.
Inoltre, mentre Boris Johnson punterà presumibilmente sul suo profilo di campione della volontà popolare per ottenere un mandato definitivo a spezzare lo stallo in cui è precipitato il Regno Unito, malgrado non sia stato in grado di mantenere la promessa di chiudere già ora il capitolo Brexit, Jeremy Corbyn è probabile che cercherà di dirottare l’attenzione di media e votanti sul piano del Labour per combattere le disuguaglianze e le misure di austerità introdotte dagli ultimi Governi dei Tories, per quanto i lunghi tentennamenti che hanno preceduto la decisione di abbracciare l’idea di un secondo referendum sull’Europa potrebbero costare cari ai laburisti.
In definitiva, con il trascorrere del tempo solo una sembra essere la costante a Londra: sull’addio all’Unione europea tutto può succedere e nessuna ipotesi può essere scartata. Almeno per un altro mese, l’incertezza a ogni livello continuerà a farla da padrona.