Tiziano Treu nominato nuovo Presidente. In Parlamento una proposta di riforma. Rilancio o estrema unzione?
Dopo aver superato vittoriosamente lo scoglio referendario del 4 dicembre 2016 che, almeno nel titolo del quesito, ne decretava già la soppressione, il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro è oggi più vivo che mai e, con la nomina del suo nuovo presidente ad opera del Governo il 5 maggio scorso, si appresta a vivere una “seconda giovinezza”. Le incognite da affrontare, però, saranno molte.
Partiamo dalla presidenza. Tiziano Treu, 77 anni, è stato chiamato alla guida dell’organismo che riunisce gli esperti e i rappresentanti delle categorie produttive nazionali, pensato dai padri costituenti come punto di riferimento nazionale in grado di rappresentare gli interessi delle forze sociali uscite distrutte dal ventennio fascista.
Una nomina che già fa discutere. Non tanto per le capacità unanimemente riconosciute all’ex ministro, quanto per la sua stessa considerazione politica in merito all’utilità istituzionale del vituperato organismo di cui, adesso, si trova alla guida. Proprio il neo presidente infatti non aveva fatto mistero dell’inutilità del Cnel, schierandosi pubblicamente accanto a Matteo Renzi in occasione della partita referendaria, che della cancellazione di questa assemblea aveva fatto un cavallo di battaglia.
Quando però, a Villa Lubin, il vento rottamatore non riuscì a soffiare più con la forza auspicata, la consapevolezza della necessità di avviare un percorso di auto-riforma volto ad aggiornare governance, composizione e mission di quello che molti definiscono “ente inutile”, si è fatta quanto mai necessaria.
Subodorando i mala tempora, lo stesso Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, qualche settimana fa, giocando d’anticipo, ha trasmesso alle Camere un disegno di legge in cui chiede di essere “riformato”, ma stando bene attento a non suggerire interventi troppo pregiudizievoli.
Confermati in 63 il numero di membri (sino al 2011 toccavano la cifra monstre di 121), alcuni piccoli ritocchi sono volti all’allargamento della platea rappresentativa, includendo anche rappresentanti dell’Anci, dell’UPI e della Conferenza delle Regioni. A sostegno del proprio rilancio, il Cnel chiede al Parlamento un aumento delle competenze che – come viene esplicitamente sottolineato – sarà svolto con la più ampia valorizzazione delle risorse professionali interne; la certificazione del grado di rappresentatività nazionale delle diverse organizzazioni sindacali e la redazione di un rapporto annuale in tema di misurazione del benessere equo e sostenibile.
Tutt’altro che nella direzione della semplificazione amministrativa, in ultimo, la proposta sempre del Cnel che prevede l’auto-attribuzione del rilascio di pareri preventivi obbligatori (seppur non vincolanti) sui maggiori atti di finanza pubblica, come il Documento di economia e finanza, la nota di aggiornamento e la legge di bilancio.
Riusciranno tali interventi a rilanciare questo gigante con i piedi di argilla? Di certo è che queste proposte difficilmente potranno abbattere il costo annuo di funzionamento, stimato dallo stesso Consiglio in quasi 9 milioni di euro, e ancor più difficilmente si potrà giustificare l’utilità di un organo che, nei suoi sessant’anni di vita, non ha per niente inciso nella vita dei cittadini.