Molto difficile che emerga una maggioranza, sulle urne (le terze dal dicembre 2005) peseranno questione catalana e sistema ormai multipartitico. Il debutto della destra radicale
Come comunicato dal primo ministro Pedro Sánchez nella mattinata del 15 febbraio, domenica 28 aprile la Spagna andrà al voto per rinnovare il Parlamento, la cui scadenza naturale sarebbe arrivata nel 2020.
La fine del Governo di minoranza del segretario del PSOE, in carica dall’inizio di giugno 2018 in seguito alla mozione di sfiducia costruttiva che aveva segnato la fine dell’era del conservatore Mariano Rajoy alla guida del Paese, è stata determinata dalla bocciatura del Bilancio dello Stato da parte delle Cortes, dove il 13 febbraio si sono sommati i voti contrari di PP (Partito Popolare di centrodestra), Ciudadanos (liberali) e indipendentisti catalani.
Le forze separatiste di Barcellona (i progressisti di ERC e i centristi del PDeCAT) erano state determinanti per l’arrivo di Sánchez al potere 8 mesi fa, ma sin dall’inizio era stato chiaro che il loro sostegno al cambio di Esecutivo a Madrid era vincolato all’individuazione di una soluzione politica allo stallo determinato dalla presenza, in Catalogna, di una spaccatura pressoché a metà tra cittadini favorevoli e contrari all’indipendenza dalla Spagna.
Nella visione di ERC e PDeCAT questa soluzione coincide esclusivamente con la celebrazione di un referendum di autodeterminazione sul modello della consultazione dell’1 ottobre 2017 (ritenuta illegale dal Tribunale costituzionale spagnolo e repressa con la forza dalla Polizia inviata da Madrid), scenario respinto dal Governo del PSOE, intenzionato a dialogare sulla concessione di maggiori poteri alla Generalitat (Giunta regionale) catalana senza andare oltre quanto stabilito dalla Costituzione del 1978.
L’inconciliabilità tra le posizioni delle due parti ha fatto sì che la situazione precipitasse nell’arco dell’ultima settimana, e di certo un ruolo nel determinare gli eventi lo hanno anche avuto da un lato la manifestazione in difesa dell’unità della Spagna svoltasi il 10 febbraio nella capitale iberica con il sostegno di PP, Ciudadanos e Vox (partito di destra radicale, da mesi in piena ascesa) e, dall’altro, l’inizio del processo ai danni di 12 leader indipendentisti catalani, accusati dal Tribunale Supremo di Madrid di ribellione, sedizione e malversazione di fondi pubblici in seguito alla Dichiarazione unilaterale di indipendenza pronunciata dal Parlamento di Barcellona il 27 ottobre 2017.
Dunque, per la terza volta dal dicembre 2015 i cittadini spagnoli si recheranno ai seggi per eleggere i loro rappresentanti, e in questa occasione saranno ancora più evidenti quei fattori di instabilità che nel 2016 avevano portato il Paese a un passo dal blocco politico totale. Difatti, la conflittualità tra i partiti ha raggiunto i massimi livelli proprio a causa dell’irrisolta questione catalana (non è raro, ormai, sentire i principali leader accusarsi di tradimento verso la Nazione o nazionalismo castigliano a seconda delle rispettive posizioni sugli indipendentisti), e l’irruzione di Vox in uno scacchiere a tutti gli effetti multipartitico renderà molto difficile formare una maggioranza nel Congresso dei deputati di Madrid, rendendo definitivamente un ricordo lontano l’alternanza tra PP e PSOE che aveva segnato le dinamiche democratiche post franchiste.
L’ipotesi più plausibile ai blocchi di partenza è che si possa ripetere quanto avvenuto in Andalusia con le elezioni del 2 dicembre 2018, in seguito alle quali una convergenza tra PP, Ciudadanos e Vox ha segnato la fine di quasi 40 anni di governi locali del PSOE. Ciò nonostante, non è escluso che i socialisti e Podemos (forza di sinistra populista, nata dopo le proteste contro la crisi economica del 2011) possano mobilitare al massimo l’elettorato progressista agitando lo spauracchio di uno scivolamento a destra del Paese, determinato a loro giudizio dalla radicalizzazione di Partito Popolare e Ciudadanos dovuta alla concorrenza della destra radicale, il cui approdo in Parlamento rappresenterà una novità assoluta per la giovane democrazia spagnola. Non va dimenticato, poi, che il 26 maggio si terranno anche le elezioni Europee, Regionali e Comunali, destinate a essere influenzate dai risultati del 28 aprile.
Sia quale sia il corso che prenderà la campagna elettorale, Pedro Sánchez ha di fronte a sé un cammino tutto in salita per mantenere il proprio ruolo di Presidente del Gobierno. Qualora non riuscisse nel suo intento, la sinistra per la prima volta nella storia dell’Europa moderna si ritroverebbe esclusa da tutte le leadership dei principali Paesi del Continente: Germania, Francia, Regno Unito, Italia e Spagna. Uno scenario da incubo per la famiglia socialista europea.