Con l’ok del Senato alla fiducia, va in archivio un iter partito nel 2015. Dal presidente della Commissione Industria ancora dure critiche al testo
L’Aula del Senato ha approvato stamattina in via definitiva con 146 sì e 113 no il Ddl Concorrenza, chiudendo una volta per tutte (con i voti di Partito Democratico, Mdp, Alternativa Popolare e Gruppo delle Autonomie) un iter iniziato nel 2015 con Matteo Renzi premier e Federica Guidi ministro dello Sviluppo Economico.
La quarta lettura del testo a Palazzo Madama si è quindi esaurita in circa tre settimane, e sulla decisione finale del Governo di porre la fiducia hanno pesato tanto la volontà di condurre in porto il provvedimento quanto il desiderio di risolvere la situazione prima delle ferie di agosto. In ogni caso, la conclusione positiva dell’esame del Concorrenza non deve far dimenticare le difficoltà e i ritardi che hanno accompagnato gli oltre due anni di discussione, in una misura tale da aver reso la vicenda a tratti surreale. Inoltre, dal lato dei contenuti del Disegno di legge continuano a far discutere, dentro e fuori il Parlamento, le soluzioni adottate in ambito di energia, assicurazioni e telemarketing.
A dimostrazione delle critiche suscitate dall’esito dei lavori sul Ddl Concorrenza, va registrato il seguito di quello che la scorsa settimana avevamo definito come “caso Mucchetti”. Prendendo la parola in Assemblea per annunciare la sua scelta di non partecipare al voto di fiducia, il presidente della Commissione Industria ha ribadito il suo giudizio negativo sul testo, definito come «uno strumento per favorire o salvaguardare alcune grandi aziende». In particolare, l’ex editorialista del Corriere della Sera si è detto certo che «la mera cancellazione del servizio di maggior tutela, senza prevedere rimedi antitrust, determinerà il passaggio automatico di 19 milioni di clienti dell’Acquirente unico all’Enel senza costi per la stessa Enel». Con la sua scelta, Massimo Mucchetti ha sostenuto di voler «difendere la dignità del Senato compromessa nel confronto con la Camera», dal momento che le modifiche introdotte a Montecitorio avrebbero peggiorato il provvedimento e reso impossibile la discussione di altri atti in materia entro la fine della Legislatura.
Dunque, l’ok al Concorrenza va letto più come un salvataggio in extremis che come un successo del Parlamento. Ciò che appare certo, infatti, è che in ambito di apertura dei mercati e di lotta alle rendite di posizione in Italia ci sarà molto da lavorare nei prossimi anni, a prescindere da chi si troverà a guidare l’Esecutivo.