Debutta la proposta sulla tassazione delle big company da parte della Commissione UE. Prime indiscrezioni. Addio ai paradisi fiscali?
L’Unione europea dice basta all’impunità fiscale dell’economia digitale. È questo il monito del Commissario per gli affari economici e monetari dell’UE Pierre Moscovici che, già il prossimo 21 marzo, presenterà la proposta comunitaria volta a tassare i giganti del web.
Il progetto, in linea con quanto richiesto dall’Ecofin nel dicembre scorso, è figlio della necessità di rispondere in maniera adeguata allo strapotere dei giganti di internet. YouTube, Apple, Google o Facebook forniscono servizi che viaggiano sulla rete in condizioni sempre più autonome e indipendenti, operando al di fuori delle regole di settore, che non trovano applicazione nei loro confronti perché nate antecedentemente al loro ingresso sul mercato, spesso eludendo ogni imposizione fiscale, sfruttando le dimensioni «globali» del proprio business.
La consapevolezza che l’attuale cornice fiscale non è più adatta allo sviluppo dell’economia digitale e dei nuovi modelli di business è, ormai, assodata. Per avere le idee più chiare l’esecutivo di Bruxelles ha lanciato, nei mesi scorsi, una consultazione pubblica nella quale è stata approfondita l’opinione dei cittadini in merito all’idea di introduzione di una tassazione unica digitale. Nelle 446 proposte giunte al Berlaymont, il 60% dei partecipanti ritiene giusto rivedere le regoli attuali alla luce dei cambiamenti tecnologici, con più dell’80% dei partecipanti che si esprime nettamente a favore dell’introduzione di una specifica tassa.
Redde rationem, dunque, per l’industria di Internet, che in tutti questi anni di «limbo fiscale» ha goduto di un trattamento di favore rispetto alle società tradizionali, la cui tassazione media europea è di circa il 23%, rispetto al 9% delle omologhe realtà virtuali.
Secondo le prime indiscrezioni, la grande rivoluzione riguarderà una nuova definizione di «stabile organizzazione», presupposto giuridico indispensabile per stabilire se una società è soggetta (o meno) al pagamento delle tasse all’interno del territorio dell’Unione europea. Secondo la bozza ancora da discutere, l’european web tax sarà applicata ai servizi digitali nello stato membro in cui questi vengono venduti, a prescindere se l’azienda che li fornisce è presente o meno stabilmente in quella nazione. Un bel passo avanti rispetto alla concezione ordinaria, secondo cui si possono applicare tributi soltanto ad un soggetto che, seppur non residente, abbia almeno una sede fissa nello stato.
Tempi maturi, dunque, per l’introduzione della tassazione per le imprese del digitale che, per stessa ammissione di Moscovici, ormai «capiscono che lo stato di cose attuale non può essere mantenuto». Il francese che tiene i cordoni della borsa europea è intenzionato più che mai a ristabilire la giustizia fiscale e a limitare le sperequazioni finanziarie tra vecchia e nuova industria, forte anche dei numeri di sviluppo dell’economia digitale.
A fronte di una crescita media annua dei ricavi per le aziende della new economy pari al 14%, i soldi pagati in tasse dai nuovi player del web sono state briciole. Per questo, paesi come Francia e Italia hanno maggiormente insistito nei confronti del governo di Bruxelles affinché si creasse un’unica cabina di regia a livello di Unione per ristabilire condizioni fiscali giuste ed eque. Ma non tutti hanno gradito l’accelerata di Moscovici: Irlanda e Lussemburgo, gli stessi paesi che ospitano le multinazionali del web (accordando loro trattamenti fiscali di favore) preannunciano battaglia. Ognuno, naturalmente, difende il suo spazio. E la partita del nuovo Robin Hood transalpino è appena cominciata.