Alla soglia delle elezioni, l’Unione tira le somme di quanto è stato fatto e di quanto resta da fare. Sulla definizione delle prossime priorità politiche comunitarie peserà il nuovo assetto post-elettorale
Si è celebrata, lo scorso 9 maggio, in tutta l’Ue a 27 – chissà in effetti se e come si sono svolte le celebrazioni nel Regno Unito! – la festa dell’Europa; nello stesso giorno a Sibiu, in Romania, si è svolto il vertice straordinario dei Capi di Stato e di Governo Ue.
Una data importante perché, mentre negli Stati membri dell’Unione si ricordavano i 69 anni dalla dichiarazione Schumann e la nascita dell’Europa unita, l’ultimo Consiglio europeo, prima dell’appuntamento elettorale del 23-26 maggio, recepiva in una delle città-simbolo del passato e del futuro dell’Ue, l’eredità lasciata dall’eligendo Parlamento europeo e dalla Commissione.
La dichiarazione rilasciata all’esito del vertice informale di Sibiu rappresenta, in questo senso, una sorta di testamento politico in cui i leader europei hanno rivendicato, prima dell’esito delle elezioni europee, i risultati conseguiti dall’Unione, quale soggetto portatore di unità e pace all’interno della scena internazionale: al grido di “uniti siamo più forti”, i leader europei, guidati da Donald Tusk, hanno ribadito come l’Ue sia riuscita a garantire, in un decennio particolarmente instabile e complesso, un quadro di prosperità e progresso per i cittadini in tutta Europa.
Se il bilancio complessivo dell’azione dell’Ue tracciato dal Consiglio è più che positivo, fidarsi è bene ma non fidarsi è meglio, soprattutto in vista del quanto mai incerto assetto del dopo elezioni: e così i Capi di Stato e di Governo hanno colto l’occasione di Sibiu per lanciare una sorta di ultimo appello pre-elettorale per salvaguardare quello che di buono è stato fatto finora.
A leggere tra le righe la dichiarazione di Sibiu, emerge infatti una certa preoccupazione per quello che sarà il futuro dell’Unione dopo il 26 maggio. Forse per questo i leader dell’Ue hanno voluto lasciare in eredità alla nuova leadership politica, che verrà nominata subito dopo le elezioni per il Parlamento europeo, un decalogo di impegni cui tener fede per confermare i loro valori ispiratori. Oltre a un’Europa unita e solidale, senza divisioni, tra le promesse rinnovate per i prossimi anni, figurano la ricerca di soluzioni congiunte, la tutela della democrazia e dello Stato di diritto, la difesa dei valori comuni, il rispetto del principio di equità, la salvaguardia delle nuove generazioni di cittadini europei.
Nonostante i buoni propositi, è evidente che per la definizione del prossimo programma di lavoro delle istituzioni comunitarie per i cinque anni a venire peserà, in maniera rilevante, l’assetto che si verrà creare in termini di leadership politica dopo le elezioni di maggio: alle elezioni europee non si rinnoveranno infatti solo i seggi del Parlamento Europeo, ma anche gli incarichi istituzionali più importanti, come il Presidente della Commissione Europea, l’organo esecutivo dell’Unione, il Presidente del Consiglio europeo, l’Alto Rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza e il Presidente della BCE.
Fra le questioni più urgenti in sospeso, ci sono i negoziati per definire il prossimo Quadro Finanziario Pluriennale, in attesa di approvazione da parte degli Stati membri: in gioco c’è il finanziamento delle singole politiche unionali in settori-chiave, considerati prioritari per i prossimi sette anni di esercizio del futuro bilancio, a partire da istruzione, innovazione e ricerca, nonché investimenti infrastrutturali e la promozione di un’agricoltura sostenibile.
In attesa di definizione anche le tematiche connesse alla garanzia della sicurezza dell’UE, a partire dalle frontiere e dalla lotta al terrorismo e alle minacce informatiche; al centro del dibattito europeo anche il contrasto alla immigrazione illegale, la riforma del sistema di asilo, nonché la protezione dei valori europei e delle libertà individuali.
Anche i cambiamenti climatici potrebbero essere in cima alle future priorità dell’Unione europea, dopo la richiesta ai vertici dell’Ueda parte dei Ceo di oltre 50 multinazionali – tra cui Unliver, Ikea e Burberry – di siglare e approvare una cornice comune di leggi per arrivare alla decarbonizzazione a lungo termine con l’obiettivo di zero emissioni al 2050.
Per vedere il risultato di questi rinnovati equilibri bisognerà però aspettare il mese di giugno – e più precisamente il 20 e 21 giugno – quando in sede di Consiglio europeo dovrebbe essere approvata la nuova Agenda strategica dell’Ue per il periodo 2019-2024, sulla base dello schema presentato a Sibiu dall’uscente Presidente Donald Tusk e incentrato su cinque macro dimensioni: proteggere i cittadini e le libertà; sviluppare la base economica: il modello europeo per il futuro; costruire un futuro più verde più equo più inclusivo; promuovere i valori e gli interessi dell’Europa nel mondo.
Sarà infatti la nuova Agenda a fissare le priorità d’azione e orientare i programmi di lavoro delle istituzioni.
Sulle prospettive e sul futuro dell’Ue si giocherà quindi la partita delle europee. Ma se in ultima istanza saranno gli elettori a decidere, è pur vero che lo slogan dell’unità tanto decantato nel corso dell’ultimo Consiglio europeo – proprio alla vigilia della fuoriuscita, traumatica, della Gran Bretagna – assume un non so che di ironico e poco rassicurante. Una nuova Unione sì, ma pur sempre a 27.