Passo indietro della Bce che a dicembre terminerà l’acquisto di titoli di stato italiani. I possibili scenari del dopo-Qe
di Alessandro Alongi
Fiato sospeso e indici di Borsa sott’occhio. È questa la sensazione che si registra sui mercati finanziari europei dopo l’annuncio della Banca centrale europea, nel giugno scorso, di mettere fine al Quantitative easing, il programma di acquisto massivo dei titoli di stato dei paesi europei da parte dell’Istituto di Francoforte varato nel marzo 2015.
Obiettivo del piano della Banca centrale è stato quello di stimolare la crescita riportando l’inflazione a valori pre-crisi (intorno al 2%) tentando così di far ripartire l’economia. Grazie al Qe l’istituto guidato da Mario Draghi ha acquistato, in questi tre anni, titoli di debito e altri prodotti finanziari al ritmo di 80 miliardi al mese. Grazie a tale iniezione di liquidità il rendimento sui titoli (e quindi gli interessi sul debito pagato dagli stati) si è fortemente ridotto e le banche hanno ricevuto nuove disponibilità monetarie. Nuova liquidità che si è tradotta (o si sarebbe dovuto tradurre) in un maggiore accesso al credito per imprese e famiglie. È stato sempre grazie al Qe che l’Italia ha risparmiato più di settanta miliardi di interessi sul debito pubblico, essendo ancora oggi i tassi di interesse dei nostri titoli di debito prossimi allo zero.
Tutto ciò sta per terminare. La chiusura dell’iniziativa è stata fissata per fine anno e, se da un lato è dubbia la possibilità di una proroga di tale strumento, dall’altro è sconosciuto l’impatto che la chiusura dei rubinetti avrà sull’economia. Nel frattempo il Governo ha lanciato timidamente la propria moral suasion nei confronti dell’Eurotower, con il Sottosegretario Giorgetti che, a margine di un intervento durante il Meeting di Rimini, non ha esitato a lanciare il cuore oltre l’ostacolo affermando che «Noi non abbiamo diritto di chiedere nulla, né di chiedere una proroga del quantitative easing, ma credo che una valutazione dell’opportunità di prolungarlo, specie in una fase come questa, possa condurre a una rivalutazione del disimpegno». Diverse le riflessioni (e i vaticini) da parte degli analisti sui possibili scenari futuri:
TITOLI DI STATO – Secondo i più nell’immediato non dovrebbe cambiare nulla. La stabilità dei nostri titoli di debito (principalmente Bot e Btp) sarà assicurata dall’intenzione della BCE, più volte palesata, di riacquistare i titoli già in possesso (una cifra che sfiora i 356 miliardi di euro) e prossimi alla scadenza. Non nuovi acquisti, quindi, ma semplicemente «ri-acquisti», così da confermare l’investimento iniziale. Non è ancora chiaro però se i vecchi titoli in scadenza verranno rinnovati con altri titoli aventi la medesima durata oppure Fracoforte sceglierà di allungare le scadenze degli stessi, dando più respiro agli stati. In fatto di investimenti pubblici, se prima il nostro paese avrebbe potuto permettersi piani di interventi a costi relativamente ridotti (essendo gli interessi sui titoli alleggeriti dal Qe), in futuro aumentare il deficit senza un accordo con Bruxelles sarà più difficile. Il vero rischio potrebbe giungere dalle emissioni di titoli post-Qe: per allettare i risparmiatori i nuovi titoli potrebbero essere messi all’asta con la promessa di un interesse maggiore a quelli degli ultimi tre anni, cosa che farebbe deprezzare il valore dei titoli già in possesso dalle banche che si vedrebbero costrette, in tal modo, ad iscrivere a bilancio un valore inferiore dei bond già in pancia, con il conseguente rischio di un impoverimento patrimoniale dei principali istituti di credito.
TASSI DI INTERESSE – Il mese scorso la BCE ha confermato che non varierà i tassi almeno sino all’estate 2019 (al momento fermi allo 0%). Dalla seconda metà del prossimo anno, dunque, è probabile un aumento dei tassi di interesse, con la diretta conseguenza di una crescita dei costi del finanziamento per imprese e consumatori.
MUTUI – Proprio i consumatori, in particolare, non potranno godere degli attuali tassi favorevoli dell’Euribor e dell’IRS, indicatori utilizzati per il calcolo dei tassi dei mutui. Al momento, nonostante l’annuncio della fine del Qe, l’andamento dei due indicatori è rimasto pressoché stabile. Gli analisti consigliano, in via precauzionale e in presenza di un mutuo a lunga scadenza a tasso variabile, di optare per un passaggio al tasso fisso, in modo da bloccare e garantire l’attuale indice, al momento molto conveniente. Anche le aziende, con una crescita dei tassi, si vedranno costrette ad indebitarsi ad un costo maggiore. Di contro ci si aspetta una crescita dei rendimenti di altri prodotti bancari, come ad esempio i depositi.
RISPARMI – Con i tassi fermi al palo in questi ultimi anni gli investimenti in titoli di risparmio non hanno brillato per rendimenti. Senza più l’iniezione di liquidità mensile ad opera della Banca centrale è plausibile che – seppur non nell’immediato – tornerà una certa convenienza nell’acquisto in titoli di stato, obbligazioni e fondi. Di contro, spostandosi su rendimenti più certi, buona parte di chi oggi ha scelto di investire in titoli azionari potrebbe scegliere di ritornare verso rendimenti più stabili, vendendo le proprie partecipazioni in capitali di rischio, con la conseguenza di possibili flessioni azionarie.
Quale che siano gli scenari futuri la sensazione che la fine della stagione del Qe avrà non poche ripercussioni sul sistema-Paese, anche in congiunzione con l’aumento dello spread e la decelerazione della crescita. Tutti scenari di cui la prossima legge di bilancio dovrà necessariamente tenere conto.