Scenari allo studio dei partiti: diventeranno concreti già la sera del 4 marzo, un minuto dopo i primi sondaggi. La palla al Capo dello Stato in una totale incertezza
di LabParlamento
Non fatevi ingannare dai sondaggi che girano, a giorni alterni, tra televisione e stampa. A poco più di un mese dal voto, gli occhi sono già puntati alla tarda sera di domenica, 4 marzo, dopo che alle 23.00 si saranno chiuse le urne. La grande aspettativa, errori sempre possibili a parte, è per i primi numeri sulla ripartizione in seggi dei voti espressi per partiti e coalizioni. E se da questi uscirà o meno una maggioranza certa nei due rami del Parlamento. Se maggioranza sarà, convocate le nuove Camere, il 23 marzo, eletti i rispettivi Presidenti e costituiti i gruppi parlamentari, il Capo dello Stato inizierà le consultazioni per il nuovo Governo affidando l’incarico al candidato premier che, forte di quei voti di maggioranza, offra la maggiore possibilità di successo per ottenere la fiducia e varare l’esecutivo post Gentiloni (che, allo stesso tempo – ma non prima del via libera parlamentare al successore – a quel punto rassegnerà le dimissioni).
Assai diverso il panorama se, al contrario, maggioranza certa non sarà (come prevedono in molti) oppure questa si reggesse sul filo dei voti. Allora, in considerazione di una legge elettorale che sul “dopo” non prevede praticamente nulla e non contempla alcun premio di maggioranza, si aprono scenari inesplorati. Tutti comunque nelle mani sempre e solo del Capo dello Stato, il cui ruolo – già decisivo – ne risulta ulteriormente accresciuto. Tutti da valutare ed eventualmente perseguire sulla base di un assunto inequivocabile: il nuovo Governo dovrà ottenere una fiducia stabile, sicura e affidabile; i tempi per la sua investitura dovranno essere i più celeri per evitare incertezza ai mercati e al giudizio in primis della Ue e poi delle Istituzioni internazionali.
Il Rosatellum non indirizza preventivamente la strada da seguire. Ai tempi del “vecchio” proporzionale al Quirinale saliva subito un rappresentante del partito di maggioranza relativa (per decenni la Dc). Costui provava a fare il nuovo Governo e il più delle volte ci riusciva, oppure passava la palla ad altro esponente del medesimo partito oppure ai leader di quei partiti (naturali alleati della Dc) con i quali era più facile perseguire l’obiettivo finale. Nella “seconda Repubblica” quando il “capo” dello schieramento in lizza era preventivamente noto (Prodi, Berlusconi, Veltroni, …), al netto di Governi tecnici e/o di emergenza, il compito del Capo dello Stato era, in fondo, il più semplice. Anche se la maggioranza non sempre si mostrava poi coesa nei numeri e nell’appoggio al Governo (emblematiche le elezioni del 2006 con Prodi vittorioso su Berlusconi per una manciata di voti ed un Senato praticamente ingovernabile).
Questa volta, Mattarella, come si diceva, dovrà ben valutare le sue mosse. Potrebbe per esempio decidere di affidare il primo incarico alla coalizione che ha avuto più voti (al momento secondo i sondaggi il centrodestra e assai difficilmente le cose dovrebbero cambiare con un centrosinistra in chiaro affanno). Oppure al partito con più voti, ovvero al M5S sempre per i sondaggi di cui sopra, il quale per esplicita ammissione cercherebbe “convergenze sul programma”. Infine, il Capo dello Stato potrebbe privilegiare il gruppo parlamentare più folto, che ha ottenuto cioè più parlamentari in base al voto dei collegi uninominali (l’obiettivo, sembra, del Pd). Si badi bene che in ogni caso la scelta del candidato premier, in tutti e tre le ipotesi, sarebbe sempre di Mattarella sebbene nulla vieti che dai tre “schieramenti” si propongano determinati candidati. La legge infatti parla di “capi del partito” da esprimere, non di “capi della coalizione”. In pratica, solo per il M5S, sembrerebbe tutto più semplice. Almeno sulla carta, perché poi le auspicate “convergenze” potrebbero realizzarsi anche con riguardo a un diverso esponente grillino. Situazione, questa, assai improbabile però da inserire nel novero delle possibilità se non altro per far comprendere l’incertezza di questa legge elettorale.
Per ora, a quanto consta, nessuno di questi scenari prevale sui restanti. Ragioni di convenienza politica oltre che affidabilità parlamentare (in questo senso la scelta dei presidenti delle Camere avrà già fornito un’indicazione importante) saranno alla base delle determinazioni del Capo dello Stato. Il quale, non ultima, ha sempre in serbo la “minaccia” dello scioglimento del Parlamento per indurre i sicuri litiganti alla ragione.
Una situazione, quella del post-voto in assenza di numeri certi, che oltre a queste incertezze ne introduce, oltretutto, un’altra. Il possibile scomporsi delle coalizioni oppure, al contrario, il comporsi di nuove con il risultato di nuove maggioranze, ora assai difficili da prevedere, ma non impossibili (grande coalizione, M5S-Lega in testa). Il costituzionalista Michele Ainis, su Repubblica, illustrando con dovizia queste ed altre problematiche con le relative difficoltà previsionali, e tirando le conclusioni, suggerisce di prestare attenzione più alle seconde e terze che alle prime file dei partiti. Personaggi che non si sono candidati o se candidati hanno rinunciato, super partes, con buoni ancoraggi bipartisan nella società civile e magari Oltretevere. Verranno buoni al momento opportuno.