La debolezza di Renzi rafforza il Governo e introduce scenari finora impensabili nel Pd
di S.D.C.
Ci sono due nuove considerazioni da fare riguardo al panorama politico nazionale.
La prima è che il Governo Gentiloni ha deciso di uscire allo scoperto parlando espressamente di continuità della Legislatura e delle cose da fare fino a quella data per bocca dello stesso premier. La seconda è che la vicenda Consip, a meno di fatti improvvisi a suo vantaggio, sta di molto indebolendo Matteo Renzi sia nel rapporto di forza con lo stesso Gentiloni, sia in vista delle primarie Pd.
Il presidente del Consiglio ha scelto Rai 1, la trasmissione Domenica In, per lanciare la sua “mozione” di tranquillità e continuità al Paese. Non a caso intervistato dal conduttore più nazionalpopolare di sempre, ovvero Pippo Baudo. Due i messaggi: continuità, come detto, e ripresa delle riforme (conseguenza diretta del primo punto). Citando come primo approccio forte la riduzione del costo del lavoro che, naturalmente, non si fa in un giorno bensì si sostanzierà in un percorso primaverile e autunnale che passa per Def, manovra di assestamento anti-procedura di infrazione e Legge di stabilità 2017 (disinnescando le clausole di salvaguardia), con il contorno del vertice G7 di Taormina e l’occhio vigile ai risultati elettorali in Francia e Germania.
La maggior parte dei commenti spiega l’uscita di Gentiloni con un rinnovato “asse” da parte del Quirinale. E non potrebbe che essere così. Primo perché, risolta la “querelle” sul voto anticipato a giugno, un esecutivo che ha i voti per governare non può restare a bagnomaria in attesa di chissacché. Secondo perché i mercati (e le cancellerie europee) ci chiedono punti di riferimento, quanto meno “a mesi” e non “a giorni”. Terzo perché sta scoppiando, appunto, la vicenda Consip. E il sistema politico si trova in forte fibrillazione, a rischio deflagrazione.
La vicenda Consip, si diceva, ha indebolito e sta indebolendo di molto Renzi e la sua squadra. Effetto immediato quello, come visto, di rinvigorire Gentiloni. Si allontana dunque anche l’ipotesi di un voto autunnale. Anche per via dello scenario economico delineato. Ma c’è di più, perché a una conseguenza esterna, quella di un viatico meno periglioso per il Governo, se ne aggiunge una tutta interna.
Per come stanno le cose e sempre in assenza di un rapido diradarsi della nebbia che avvolge il quartier generale renziano, l’ex premier a questo punto potrebbe doversi cominciare a guardare le spalle anche nella corsa alle primarie. Certo per ora tutto e tutti sono concordi nell’attribuirgli sul territorio una vittoria pressoché certa sui due sfidanti, Orlando ed Emiliano. Tuttavia, potrebbe anche accadere che un vento differente inizi a soffiare sul Nazareno. Quello, per esempio, di una maggioranza più risicata del previsto e comunque sotto il 50%, affidando perciò all’Assemblea la scelta finale del segretario dem. Oppure quello – e qui sta la novità più recente – del concretizzarsi in vista delle urne di una valutazione tutta politico-governativa nella prospettiva del dopo-voto per il rinnovo delle Camere. Specie se non si addivenisse a qualche ritocco del sistema elettorale per attenuare il proporzionale.
Un venticello che negli ultimi giorni starebbe spirando dolcemente, però mano mano più rinforzato, in quelli che si definiscono da sempre gli ambienti che contano. Ovvero: se Renzi dovesse vincere le primarie, il Pd si troverebbe probabilmente isolato quando il Quirinale gli affiderà (in prima o seconda battuta, è tutto da vedere) il pallino per formare il nuovo Governo, dato che non si intravvedono alleati praticabili. Né M5S, a sua volta senza alleati; né centro-destra che alla fine non potrà fare a meno di compattarsi rendendo vane le possibili avances berlusconiane; tantomeno, il variegato partitismo a sinistra che ha per riferimento, adesso, gli scissionisti.
Tutto il contrario se alle primarie vincesse un suo antagonista, in specie Andrea Orlando. A lui riuscirebbe, probabilmente, quello che Renzi non può, non vuole fare. Costruire un neo-centro-sinistra rafforzato quantomeno con Mdp (il movimento degli scissionisti) e Campo Progressista, lo schieramento di Giuliano Pisapia. I numeri, secondo i primi sondaggi, ci sarebbero anche perché il primo effetto della scissione è sotto gli occhi di tutti: il Pd e Mdp, assieme, hanno già più voti del vecchio partito unito. Logica conseguenza del riavvicinarsi di parte dell’elettorato di sinistra che aveva ingrossato l’astensionismo mentre il Pdr, il partito di Renzi, per ora contiene le perdite.
Come si vede uno scenario tutto in forte evoluzione, nondimeno con prospettive che potrebbero rivelarsi del tutto imprevedibili e inattese soltanto qualche settimana fa.