Siti e piattaforme fanno ormai parte della nostra vita quotidiana, ma senza regole si rischia la deriva. Ecco perché anche l’Antitrust italiana si sta muovendo
di Alessandro Alongi
Il dibattito che ha seguito la maxi-sanzione di Google da parte della Commissione europea per violazione della normativa antitrust ha fatto emergere un certo malpancismo da parte dei sostenitori dell’innovazione, secondo l’assunto per cui imbrigliare il mercato digitale con regole, codici e cavilli equivale a soffocarlo, rallentando (se non addirittura frenando) lo sviluppo e la ricerca.
A sostegno di tale tesi, i fautori della libertà tecnologica ricordano come gli Stati Uniti siano stati in grado di sviluppare un vero e proprio «opificio digitale» nella famigerata Silicon Valley (un modello del tutto assente in Europa), fucina di creatività «disruptive» resa possibile – ribattono i detrattori del net-liberismo – anche grazie all’attenuazione delle regole su fisco, concorrenza e privacy, successo figlio di quella concezione per cui le norme e le prescrizioni istituzionali sono considerate di intoppo al cambiamento.
È per questo che il passo tra libertà e monopolio è davvero corto, e cresce sempre più la consapevolezza di come sia necessario un presidio di controllo efficace contro le storture del mercato. Il dibattito si sta sviluppando giorno dopo giorno, rendendo ormai improcrastinabile la definizione di nuove le regole del gioco, ovvero di più moderne e adeguate forme di regolazione responsabile e consapevole, per garantire e sostenere uno sviluppo del mondo dell’innovazione il più possibile condiviso.
In attesa dell’evoluzione del panorama normativo, gli stati dell’Unione europea non rimangono a guardare, e si affidano ai propri ordinamenti interni per porre un freno allo strapotere delle tech companies cercando di ristabilire equità in favore degli operatori economici e dei consumatori.
L’intervento europeo su Google non è un caso isolato, ma è inserito in un più ampio mosaico che vede coinvolti anche i paesi membri. Ne sa qualcosa anche l’Italia che, in occasione dell’ultima Relazione annuale dell’Autorità garante per la Concorrenza e il Mercato sottolinea come l’AGCM sia, da un lato, impegnata a stimolare l’innovazione e la modernizzazione delle strutture economiche nazionali per renderle più competitive e, dall’altro, vigila sul rispetto delle regole, impegnata a contrastare le diseguaglianze attraverso la lotta alle rendite di posizione. «La tutela della concorrenza e del consumatore nell’economia digitale continueranno a lanciare nuove sfide all’Antitrust, che dovrà sempre di più attrezzarsi per comprendere i nuovi mercati» ha affermato il Presidente dell’authority Giovanni Pitruzzella a margine della presentazione del resoconto.
Da qui nasce l’attenzione per l’Autorità di piazza Verdi intorno alla grande questione dei Big Data ritenuta (a ragione) fonte di potere di mercato delle imprese hi-tech, che possono utilizzare questa nuova risorsa per chiudere i mercati e bloccare l’innovazione che proviene da nuovi attori, così come numerosi sono stati i casi aperti dai guardiani della concorrenza a tutela del consumatore contro le pratiche commerciali scorrette che hanno riguardato quasi tutti i giganti della rete.
Il pugno di ferro dell’Antitrust nazionale, al pari di quella europea, si è fatto sentire proprio nei confronti dei «mostri sacri» del web: nella lunga lista WhatsApp (dove l’Autorità è intervenuta sanzionando una pratica commerciale aggressiva), Facebook (evidenziando la carenza informativa, al momento della registrazione, circa l’uso dei dati personali degli utenti) e Amazon (accusata di aver omesso ai propri clienti informazioni rilevanti nel corso del processo di acquisto).
Per ristabilire le condizioni di legge l’AGCM utilizza l’ampia strumentazione giuridica di cui dispone per ottenere la rimozione di regolazioni anticoncorrenziali, non sempre però al passo con le evoluzioni (e la velocità) della tecnologia. Oppure adotta poteri di advocacy, come nel caso dei protagonisti della c.d. «sharing economy», in cui l’Autorità ha promosso una regolazione che non blocchi lo sviluppo di piattaforme come Uber e Airbnb (uno su tutti il caso di impugnazione al TAR del regolamento della Regione Lazio che ostacolava l’attività di proprio di quest’ultima impresa digitale).
Ma in questa lotta l’Italia non può essere lasciata da sola, esigendo il supporto e il sostegno dell’alleato europeo. E il vento che spira a Bruxelles, stando al tweet del Presidente Donald Trump immediatamente dopo la decisione su Google, non è certo di brezza quanto più di tempesta: «Hanno davvero approfittato di noi, ma non durerà a lungo».