“Roma ha bisogno di un modello di governance che la metta al pari delle grandi capitali europee. Le occorrono strumenti amministrativi e risorse speciali. Il modello di autonomia che propone la Lega mi sembra francamente finalizzato solo a tutelare gli interessi del Nord”. A parlare a LabParlamento è il professor Ignazio Marino, sindaco di Roma dal 2013 al 2015, fresco di assoluzione piena da parte della Cassazione per la vicenda scontrini. Marino oggi è tornato ad esercitare la sua professione di docente e chirurgo negli Stati Uniti.
di Daniele Piccinin
Prof. Marino, la sua piena assoluzione per il caso scontrini mette fine ad anni di fango che ha subito. Cosa le ha fatto più male in questi lunghi mesi?
Certamente le tante falsità raccontate sul mio conto e una campagna di persecuzione mediatica vergognosa mirata a infangare la mia persona. Tra l’altro una campagna coordinata scientificamente: ricordo che televisioni e giornali di sensibilità politica anche opposta uscivano contemporaneamente con le stesse fake news infamanti. Ho sempre avuto la coscienza a posto e questa assoluzione per me è la conferma di quanto io e i miei più stretti collaboratori abbiamo sempre fatto, ovvero agire per il bene della Capitale d’Italia, cercando di liberarla da quel sistema di potere e dalle tante lobby che hanno sempre dettato legge in Campidoglio e che noi abbiamo deciso di contrastare da subito.
Crede di aver pagato proprio questo suo essere, come l’hanno definita, “marziano” nella città della burocrazia e dei poteri?
Credo di aver subito un accanimento mediatico senza precedenti. Penso ad esempio alla vicenda della Panda rossa che la Procura di Roma accertò essere stata frutto di un hackeraggio che portò alla falsificazione dei dati personali del Sindaco. Una vicenda incredibile che però i media veicolarono in modo scorretto, senza raccontare la verità non mia, ma della Procura della Repubblica! Non solo non ho mai utilizzato risorse pubbliche per scopi privati in merito ai pranzi e alle cene di cui si è tanto parlato, ma non ho mai commesso alcuna delle infrazioni o leggerezze che mi sono state imputate per farmi apparire disonesto e pasticcione. Infatti, sono stato ritenuto estraneo alla truffa che ha danneggiato la Onlus di cui un tempo ero presidente e riguardo al funerale Casamonica dell’estate 2015, come Sindaco non avevo alcuna autorità sulla gestione del traffico aereo in città. Mi stupii che autorevoli giornalisti, allora e ancora oggi, non sappiano che il Campidoglio non dispone di radar né di elicotteri militari e quindi non può fermare un elicottero che sparge rose su un carro funebre. Forse prima di scrivere avrebbero dovuto studiare? Ma in realtà non penso sia così: non sono ignoranti sono in malafede. E infine la mia partecipazione alla Giornata Mondiale della Famiglia celebrata dal Santo Padre a Philadelphia: come avrei potuto finire in prima fila fra le autorità a un evento dalla sicurezza così serrata senza un invito ufficiale, che ancora conservo? Ne ho parlato anche nel mio libro (Un marziano a Roma, Feltrinelli 2016) dopo averne discusso privatamente con Sua Santità, mesi dopo la brusca fine del mio mandato. Infatti, le sue parole mi ferirono molto. Insomma, i miei 28 mesi in Campidoglio sono stati accompagnati da polemiche che a distanza possono apparire solo ridicole ma che certamente hanno disturbato quell’azione seria e responsabile che cercavamo di promuovere e che mi hanno fatto soffrire molto.
In queste ore è partita la corsa di molti esponenti del Partito Democratico a invocare le scuse nei suoi confronti, ma c’è anche chi insiste nel sostenere che fu mandato via per gli errori commessi e non per la vicenda degli scontrini. Ha qualcosa da rispondere?
Il Partito Democratico ha il dovere di rispondere ai romani e alle romane per aver destituito davanti ad un notaio un sindaco democraticamente eletto. Tutto per il volere del suo segretario, Matteo Renzi, che impedì il confronto in Assemblea Capitolina, davanti alle telecamere del nostro e di altri Paesi, e scelse di fuggire dall’etica della democrazia con i consiglieri comunali del PD e quelli della destra che firmarono le dimissioni nello studio di un notaio. Esistono le riprese televisive diffuse da tutti i telegiornali e la leadership del PD di allora ancora nega che sia accaduto. E’ stata una pagina buia della nostra democrazia e di un partito che all’epoca era il primo in Italia e oggi, forse non a caso, ha perso consensi e non ha più la capacità di captare le istanze dei cittadini.
A governare in Campidoglio oggi c’è molta di quella classe dirigente che invocò le sue dimissioni. Cosa si sente di dire alla sindaca Raggi e al consigliere De Vito che guidarono la “rivolta” nei suoi confronti?
Non ho mai provato sentimenti di rivalsa. Per carattere non provo risentimento. Verso la sindaca provo incredulità, perché non riesco a capire quanto di superficialità ci sia in alcune nomine che ha fatto e che sono finite in gravi inchieste giudiziarie. Quanto a Marcello De Vito gli auguro di chiarire la sua posizione con la giustizia. Lo dico sinceramente per il bene di Roma e dei romani. Questa città non merita più di essere governata in questo modo. In pochi anni sono stati arrestati due Presidenti del Consiglio Comunale della Capitale: uno scelto dal Partito Democratico e uno scelto dal Movimento 5 stelle.
Intanto tutti gli indicatori economici e sociali, compresa l’inchiesta che lei commentò proprio per noi, dicono che Roma è una città indietro rispetto al nord del Paese e alle grandi capitali europee. Qual è la ricetta per uscire da questa situazione di arretratezza e degrado?
Serve per prima cosa una visione di città e lavorare pensando ad una prospettiva temporale più ampia dei cinque anni di mandato. Cosa difficile per chi vive di politica e di consensi, ma per me invece fu da subito chiaro che Roma doveva vivere una stagione di cambiamento capace di guardare ai prossimi 30 anni di sviluppo. E’ evidente che con gli attuali strumenti di governo tutto ciò è oggettivamente impossibile.
Servirebbe quindi anche un sostegno nazionale per Roma? Del resto nel famoso contratto di governo la parola Roma non risulta neppure menzionata.
Non ho letto l’attuale contratto di governo, di certo quando ero Sindaco e avevo un governo e una regione di colore vicino non ricevetti alcun sostegno e sicuramente Roma per rilanciarsi, con la mole di debito che anch’io avevo ereditato dalla destra, ha bisogno di cure e progettazione che debbono essere concordate con le istituzioni nazionali.
La Lega punta dritto a rafforzare i modelli di autonomia, su richiesta delle regioni del Nord. E’ un modello che potrebbe funzionare o teme che questo possa mettere ancora più in difficoltà Roma e il Mezzogiorno?
Roma ha bisogno di un modello di governance che la metta al pari delle grandi capitali europee. Le occorrono strumenti amministrativi e risorse speciali. E’ l’unica città del mondo con tre circuiti di ambasciate, pure San Marino le tiene a Roma, e due stati indipendenti, Vaticano e Priorato del Cavalieri di Malta, che sono zone extraterritoriali con tutte le conseguenze di costi di gestione ad essa connesse, senza contare i palazzi della politica che insistono tutti nel centro storico della città, patrimonio mondiale dell’Unesco. Il modello di autonomia che propone la Lega mi sembra francamente finalizzato a tutelare gli interessi del Nord.