Superare volontariamente la fatidica soglia getterebbe i mercati nel panico e comporterebbe la reazione (salata) di Bruxelles. La necessità del dialogo con l’Europa per tenere a bada il debito
di Alessandro Alongi
Non tutti considerano il «3» come un numero perfetto. Se poi questo si trasforma nella percentuale all’interno della quale deve contenersi il rapporto tra il deficit e il PIL allora l’affare si complica.
Stabilita a Maastrich nel 1992 e concretizzatasi con il c.d. «Patto di stabilità», la soglia del 3% rappresenta per qualsiasi governo un limite invalicabile nei conti pubblici, asticella da non oltrepassare a meno di ritrovarsi di fronte una procedura di infrazione comunitaria e in mezzo ad una gigantesca tempesta finanziaria, regno incontrastato degli speculatori.
Consapevole di ciò anche il vicepremier Matteo Salvini che, rassicurando i mercati, ha affermato che non sarà intenzione del Governo Conte «sforare» ma, semmai, «sfiorare» la temuta percentuale: «lo sfioreremo dolcemente, come i leghisti sanno fare, senza superarlo». Dello stesso avviso il collega di governo e vicepremier Luigi Di Maio che, dopo i dubbi espressi dall’agenzia di rating Fitch sullo stato di salute dell’economia italiana, alzava gli scudi (e gli scudisci) su tale sistema di valutazione («Lo spread e le agenzie di rating non possono decidere la politica economica di un governo») tranne, qualche giorno dopo, gettare acqua sul fuoco tranquillizzando i mercati e le discusse agenzie affermando che esse «non sempre agiscono contro gli interessi degli italiani».
Si può ben comprendere, da questi messaggi, come la sola ipotesi di un superamento della soglia indicata nel patto di stabilità sia capace di creare subbuglio nei mercati e, direttamente o indirettamente, anche nelle tasche degli italiani.
L’annuncio dello sforamento volontario del 3% metterebbe immediatamente in allarme Bruxelles che farebbe partire subito un procedimento sanzionatorio nei confronti dell’Italia. Lo spauracchio è proprio la paventata procedura di infrazione per l’eccesso di indebitamento, prevista dall’art. 126 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea. Qualora, dopo una valutazione globale e un confronto con il governo, il Consiglio dell’UE dovesse accertare l’eccessivo disavanzo nei conti dello Stato, verrebbero formulate una serie di raccomandazioni indirizzate all’inquilino di Palazzo Chigi volte a rientrare nei parametri e, ove queste fossero disattese, il Consiglio mostrerà i muscoli. I Trattati prevedono, al riguardo, diverse iniziative dissuasorie verso comportamenti irriguardosi nei confronti della tenuta finanziaria dei conti. L’arma più temuta è sicuramente la sanzione prevista tra lo 0,2 e lo 0,5% del PIL (che nel caso italiano oscillerebbe da 3 a 8 miliardi di euro), insieme al possibile blocco dei prestiti erogati della Banca centrale europea. Infatti l’istituto di Francoforte, su richiesta del Consiglio, potrebbe riconsiderare la sua politica di aiuti finanziari al paese se questo non si adegua velocemente alle prescrizioni comunitarie. In aggiunta a tutto ciò Bruxelles potrebbe pretendere la pubblicazione di precise informazioni prima dell’emissione dei titoli di stato, commissariando di fatto il debito nazionale.
L’Italia non sarebbe nuova ad uno sforamento del tetto fissato dal Patto di stabilità, ma mai per volontaria iniziativa dell’esecutivo. Nel biennio 2009-2011, a causa della recessione economica mondiale, infatti, il Belpaese sforò il limite, ma in compagnia di tutti i paesi industrializzati dell’area euro. Mai verificatosi, invece, un volontario «schiaffo all’Europa» cosa che, oltre alla procedura prevista dal Trattato, metterebbe in allarme i mercati internazionali. Tra i primi effetti un innalzamento vertiginoso dello spread, cosa che costringerebbe l’Italia ad aumentare il tasso di interesse dei propri titoli di debito. Se infatti vorrà finanziarsi, il paese dovrà rendere più appetibili i propri titoli di stato e stuzzicare l’interesse degli investitori scoraggiati dalle agenzie di rating e dalla moral suasion dell’Unione europea. Promettere tassi più elevati equivale ad accrescere il debito pubblico, zavorrando ancora di più il futuro.
Forse è anche per questo che, negli ultimi giorni, i toni dell’esecutivo sono tornati rassicuranti nei confronti di tutti i protagonisti economici: Europa, agenzie di rating, banche. Insomma, pare che la strategia messa in campo dalla compagine penta-leghista sia quella del «bacia la mano che non puoi tagliare». Almeno per adesso.