Stanno avendo la meglio fake news, paure e interessi elettorali. Ma ci sono casi in cui non condurre una battaglia è peggio di perderla
Dopo i rinvii stabiliti a luglio e alla successiva ripresa dei lavori parlamentari, sembrano essersi ridotte ormai al minimo le possibilità che il Disegno di legge sullo ius soli, all’attenzione del Senato dall’ottobre 2015, venga approvato entro la fine della Legislatura. Tutto ciò, nonostante il premier Gentiloni in persona avesse assicurato che il provvedimento avrebbe visto la luce in autunno.
Con la decisione presa dai vertici di Alternativa Popolare durante la Direzione celebrata ieri (“Una cosa giusta fatta al momento sbagliato può diventare una cosa sbagliata“, ha dichiarato Angelino Alfano), è divenuto quasi proibitivo l’obiettivo del Partito Democratico di trovare a Palazzo Madama i voti necessari per dare il via libera al testo, in base al quale diventerebbero cittadini italiani i ragazzi nati sul nostro territorio da genitori stranieri con permessi di soggiorno di lunga durata e i bambini che, se arrivati in Italia entro i 12 anni, abbiano frequentato per almeno 5 anni uno o più cicli scolastici.
Se in un sistema democratico è legittimo, per non dire doveroso, che le opposizioni contestino le misure avanzate dalla maggioranza sia dentro che fuori dal Parlamento, il dibattito a cui si sta assistendo da alcuni mesi riguardo l’introduzione nel nostro ordinamento dello ius soli temperato e dello ius culturae è a dir poco degradante. Il confronto su un Ddl che interessa nell’immediato circa 800.000 adolescenti (ai quali se ne aggiungerebbero decine di migliaia nei prossimi anni) è stato infatti falsato da un combinato disposto di fake news e strumentalizzazioni, rilanciato ad arte da una serie di formazioni politiche e testate giornalistiche che hanno approfittato delle paure diffuse in alcune fasce della popolazione italiana per perseguire i loro rispettivi interessi.
Solo per fare alcuni esempi, nelle scorse settimane è stato sostenuto più volte che la concessione della cittadinanza ai figli degli immigrati di lunga residenza aumenterebbe a dismisura gli sbarchi di clandestini sulle coste italiane, o che il varo della legge potrebbe dare luogo a problemi di integrazione (come quelli legati alla presenza dei Centri di accoglienza nelle periferie di alcune città) se non di sicurezza per i “veri italiani”. Argomentazioni, completamente sconnesse dai contenuti della proposta in discussione al Senato e che denotano o una scarsa conoscenza della questione o un’evidente mancanza di onestà intellettuale.
Se è vero che la missione più alta della politica è quella di migliorare la vita delle persone, mai come in questo caso lo spettacolo offerto da molti leader e parlamentari è stato avvilente. Difatti, non è degna di un Paese civilmente maturo la presenza di partiti che subordinano i diritti di centinaia di migliaia di persone al tentativo di non perdere voti nei prossimi appuntamenti elettorali, né sono accettabili gli atteggiamenti di quanti hanno scelto l’astensione per non scontentare le varie anime della propria base o di coloro che hanno optato per il dietrofront (dopo aver votato lo ius soli alla Camera) magari per tenersi aperta la possibilità di future alleanze a destra, così come risulta sconfortante il tentativo di certi settori della sinistra di sfruttare la situazione per mettere in difficoltà il Pd e Matteo Renzi, per quanti errori essi possano aver compiuto.
In definitiva, ci sono momenti in cui rinunciare a difendere un principio è molto peggio di fallire mentre si lotta per farlo prevalere. La discussione parlamentare sullo ius soli, nell’Italia di oggi, è uno di questi momenti, e pertanto abbandonare il Disegno di legge al suo destino significherebbe sancire l’egemonia culturale di chi preferisce avvelenare i pozzi e diffondere paure, invece di condurre le proprie battaglie rispettando le regole del gioco democratico