Il leader di En Marche! stravince contro Le Pen con il 66% dei voti. Le elezioni legislative di giugno il primo vero test
di Mara Carro
Con un ballottaggio stravinto con il 66% dei voti, Emmanuel Macron è il nuovo e più giovane presidente della storia della Repubblica francese. A 39 anni, l’ex banchiere praticamente sconosciuto fino a due anni fa è riuscito a scalare il sistema politico francese e scardinare di fatto il suo sistema partitico. La sua posizione europeista ne ha fatto il candidato naturale di Bruxelles e dei cittadini che vedono nell’Unione europea una fonte di stabilità e la forza che unisce 500 milioni di persone in un unico blocco. Ma anche di coloro che lo hanno scelto esclusivamente per quello che non è ovvero la sua rivale di estrema destra, l’ormai ex leader del Front National, Marine Le Pen.
Molto prima del termine dello spoglio, Macron ha parlato ai suoi sostenitori radunati sulla spianata del Museo del Louvre, a Parigi, in un centro, fisico e metaforico, tra Place de la Bastille, luogo simbolo della sinistra francese e Place de la Concorde, icona della destra. Qui Macron ha parlato del compito immenso che attende i francesi, “moralizzare la vita pubblica, rafforzare l’economia, costruire nuove tutele, dare un posto a ognuno di noi tra scuola, lavoro e cultura. Rifondare la nostra Europa e dare sicurezza a tutti i francesi”.
La vittoria di Macron è la terza sconfitta consecutiva per i candidati nazionalisti. L’europeista Alexander Van der Bellen ha vinto le presidenziali in Austria nel mese di dicembre, battendo Norber tHofer dell’estrema destra. Nelle elezioni generali olandesi nel mese di marzo, il Partito Popolare per la Libertà e la Democrazia del primo ministro uscente conservatore Mark Rutte ha chiuso in testa davanti al Partito per la libertà, la formazione di destra radicale guidata da Geert Wilders che ha ricevuto il 13,1% dei voti.
Non va tuttavia dimenticato che quasi la metà degli elettori francesi ha votato per i candidati euroscettici e “anti-sistema” al primo turno. Se ai voti della Le Pen (21,3% dei suffragi espressi) si sommano quelli (19,6%) ottenuti da Jean-Luc Mélenchon, candidato anti-establishment della sinistra radicale, si ottiene un blocco molto considerevole di elettori francesi che hanno rigettato lo status quo, il 40,9%. Se a questi si sommano i voti dei partiti minori di estrema destra e anti-capitalisti, tra cui il Partito comunista, la percentuale degli elettori anti-sistema è ancora maggiore. Si spiega allora così un astensionismo del 25,38%, che ha fatto di questo secondo turno il meno frequentato dagli elettori dal 1969, e quel 9% circa che ha votato scheda bianca o nulla.
Sarebbe quindi un errore sottovalutare il risultato della Le Pen. Con7,7 milioni voti raccolti al primo turno e 10,6 al ballottaggio (33,94%), Marine ha stabilito un record storico per il Front National pur non essendo riuscita ad infrangere una delle “leggi” non scritte della politica francese che non vede nessun candidato dell’estrema destra vincere un ballottaggio per una carica importante alle elezioni legislative, amministrative o presidenziali.
L’insediamento del nuovo presidente avverrà al più tardi entro il 14 maggio, data di scadenza del mandato del presidente socialista, François Hollande. Macron eredita dal presidente uscente una Francia indebolita, che vive una profonda crisi identitaria, con un’economia stagnante, un tasso di disoccupazione del 10% che tocca quota 24% se si considera la disoccupazione giovanile. Il tutto in un ambiente europeo e internazionale molto diverso da quello nel 2012, quando il presidente Hollande è arrivato all’Eliseo. Un Russia risorgente, la diffusione del terrorismo in Europa, la Brexit e l’ascesa del nazionalismo in Europa, il massiccio flussi di rifugiati e l’elezione del presidente Donald Trump negli Stati Uniti richiederanno una forte leadership francese.
Il successo o il fallimento della Presidenza Macron dipenderanno dalla capacità del nuovo presidente di riunire attorno a sé il Paese, sanare le divisioni sociali, la distanza fra le aree rurali e le città, tra le classi sociali agiate e quelle meno agiate, ripristinare il dinamismo economico del paese e ridurre l’alto tasso di disoccupazione, in particolare tra i giovani
Per essere in grado di governare e non essere messo da parte da un Parlamento ostile, il nascente movimento politico di Macron, En Marche!, dovrà ora trasformare questa vittoria in un governo e assicurarsi una maggioranza parlamentare alle legislative di giugno senza la quale non potrà applicare il suo programma, come il taglio di 120 mila posti di lavoro tra i dipendenti pubblici, una riduzione dell’imposta sulle società e sui salari. Ma, a differenza del secondo turno del ballottaggio presidenziale, in cui i partiti di tutto lo spettro politico hanno invitato i loro sostenitori a votare per lui contro Marine Le Pen, i rivali di Macron concentreranno tutti i loro sforzi per sconfiggerlo.
La campagna elettorale francese è stata la più cruciale per il futuro dell’Europa. Gli europeisti possono tirare un sospiro di sollevo ma sarà necessario tornare immediatamente al lavoro dopo il voto.
Con un programma europeista, l’ex Ministro dell’Economia di Hollande ha fatto qualcosa di raro nella politica francese: ha espresso la sua fiducia nell’Unione europea, sposando posizioni più euroscettiche solo dopo il primo turno per intercettare i voti degli elettori che non l’hanno preferito il 23 aprile.
Macron ha dichiarato che il progetto europeo non è più sostenibile e deve essere profondamente riformato. La capacità di superare gli squilibri e le divergenze che affliggono la Ue dipenderanno in gran parte dal rapporto che riuscirà a stringere con la Germania, che ha visitato due volte durante la campagna elettorale e che il 23 settembre è chiamata a rinnovare il Bundestag. Tra i suoi piani di riforma, da candidato all’Eliseo, Macron ha incluso il completamento dell’unione economica e monetaria, la creazione per tutta la zona euro di un bilancio comune, con un Parlamento e un ministro delle Finanze. Ancora: ha proposto la creazione di un fondo comune di difesa che dovrebbe avere l’obiettivo di finanziare gli equipaggiamenti militari comuni e l’istituzione di un quartier generale europeo permanente oltre alla previsione di una forza di 5000 uomini alle frontiere esterne dell’Unione. Sul dossier Brexit, Macron ha detto che non tollererà un accordo che consentirà al Regno Unito di agire come una paradiso fiscale off-shore in Europa, con l’accesso al mercato unico. Questo perché nessun altro paese Ue dovrebbe credere che valga la pena emulare la Brexit. Da ex banchiere, il neo presidente francese tenterà poi di attirare in Francia molte aziende con sede nel Regno Unito, facendo di Parigi una rivale efficace per la City di Londra.
Macron è fermamente convinto che la Francia abbia bisogno di riguadagnare credibilità e influenza in Europa ma la priorità risiede nel rilancio dell’asse con la Germania. A scanso di equivoci, un messaggio per i “macronisti” italiani.
La Germania è il principale partner commerciale della Francia e storicamente le due nazioni, per il loro peso demografico e il potere di voto combinato a Bruxelles, hanno insieme determinato gran parte della politica europea degli ultimi due decenni.
“L’asse franco-tedesco è il motore della zona euro e della UE. Si tratta di un pre-requisito per qualsiasi progresso”, ha dichiarato Macron giovedì 2 marzo al Pavillon Gabriel di Parigi presentando il suo programma elettorale “Propongo di ripristinare la credibilità della Francia agli occhi della Germania, per convincere Berlino nei prossimi sei mesi ad adottare una politica di investimento attiva e muoversi verso una maggiore solidarietà in Europa. Ne abbiamo bisogno perché il futuro dell’Europa è in gioco.”
Qui la sfida per Macron è evitare di ripetere l’errore commesso da Nicolas Sarkozy e François Hollande, entrambi troppo appiattiti sulle posizioni del Cancelliere tedesco, Angela Merkel, e pertanto non in grado di opporsi efficacemente al suo governo.
I leader europei dovranno ora trarre degli insegnamenti dalle elezioni francesi. Nel contesto europeo, quella di Macron è senza dubbio una vittoria che rivendica dei valori completamenti diversi da quelli di quei movimenti troppo sbrigativamente definiti populismi. Non va però dimenticato che questi movimenti nascono da alcuni fattori che permangono e devono essere affrontati. Tra questi la carenza di sicurezza, l’incertezza economica e la sfiducia verso le istituzioni politiche europee, “percepite lontane e non attente alle diverse sensibilità che costituiscono l’Unione”, come ha ricordato lo stesso Papa Francesco ricevendo a Roma i leader europei lo scorso 24 marzo in occasione del 60° anniversario della firma dei Trattati di Roma.