Riemerse divisioni sia nel centrodestra che nel centrosinistra. Primo stress test per Liberi e Uguali
Se sul piano locale sembrano essere stati pressoché metabolizzati gli effetti della scelta di Roberto Maroni di non ricandidarsi a Presidente della Regione Lombardia, sul versante degli equilibri politici generali il passo indietro del governatore leghista ha messo in evidenza una serie di contraddizioni che accompagneranno la campagna elettorale tanto del centrodestra quanto del centrosinistra.
Per quanto riguarda l’asse Lega-Forza Italia-Fratelli d’Italia-Noi con l’Italia, la decisione di Maroni ha in parte incrinato il clima idilliaco che aveva finora accompagnato il cammino dei conservatori verso l’appuntamento del 4 marzo, per il quale sono ritenuti favoriti dai principali sondaggisti. Dopo l’incontro di Arcore della scorsa settimana tra Silvio Berlusconi, Matteo Salvini e Giorgia Meloni, infatti, sembrava essere una mera formalità il confronto su programmi e candidati della coalizione, ma l’inaspettata apertura del dossier lombardo ha fatto riemergere frizioni e diffidenze sia nelle file leghiste che tra Salvini e Berlusconi, sospettato di voler “disinnescare” le ambizioni del segretario della Lega.
Sebbene la frattura sia stata ricomposta con la rapida designazione di Attilio Fontana per il Pirellone, e per quanto la prospettiva di un buon risultato alle Politiche sia un ottimo collante per il centrodestra, non può passare inosservato che alle prime difficoltà siano venuti al pettine una serie di nodi irrisolti, come dimostrato dalle divisioni emerse negli ultimi giorni su pensioni, lavoro e vaccini. In altri termini, archiviato il “caso Maroni” restano sul tappeto le incognite sulla tenuta dello schieramento conservatore, che dopo le elezioni potrebbe essere di nuovo segnato dalle tensioni tra moderati e sovranisti.
Dal lato dei progressisti, la possibilità di essere competitivi in Lombardia ha rimesso in moto il dibattito sull’unità del centrosinistra alle Regionali, mettendo alla prova la tenuta interna di Liberi e Uguali. Al di là delle decisioni prese nelle ultime ore (mandato a Pietro Grasso per valutare la chiusura di un accordo con Nicola Zingaretti nel Lazio, nessun appoggio a Giorgio Gori a Milano), nella lista guidata dal presidente del Senato appare evidente la compresenza di esponenti contrari a qualsiasi rapporto di collaborazione con il Partito Democratico (in primis i dirigenti di Sinistra Italiana e Possibile) e di personalità restie a superare l’assetto tripolare degli ultimi anni (come lo stesso Grasso, ma anche Pier Luigi Bersani, Laura Boldrini e il presidente della Toscana Enrico Rossi).
Andando oltre le scelte finali di LeU, la discussione sulle relazioni da tenere con il Pd sui territori renderà più difficile spiegare l’esclusione di alleanze sul piano nazionale, come se il problema continuasse a essere la presenza di Matteo Renzi sulla scena. Anche in questo caso, sarà da vedere se a partire dal 5 marzo avranno luogo rimescolamenti dettati da esiti elettorali a oggi imprevedibili (solo a titolo di esempio, quale sarebbe la reazione degli ex Mdp a un ipotetico cambio di leadership tra i dem?).