Il caso Aquarius rende evidente la spaccatura del Movimento, che porterebbe alla crisi in caso di voto negativo alle elezioni europee
Lo scrutatore non votante*
6 giugno 2018, la Camera si esprime sul voto di fiducia al Governo Conte. Interviene per dichiarazione di voto Vittorio Sgarbi che premonisce: “Di Maio è stato ridotto al prossimo Alfano”. Gli stenografi registrano risate e applausi da parte dell’Aula.
Battuta, boutade o lucida profezia? Per dare una risposta è necessario soffermarsi ad analizzare i reali “contraenti” di questa inedita alleanza di governo. Sarebbe infatti superficiale affermare che il “contratto” sia stato stipulato tra Lega e M5S sic et simpliciter.
Il M5S non si è trasformato in Movimento di lotta e di governo, ma si è diviso in due anime: una di lotta e una di governo. Di Maio, Bonafede e lo stesso Toninelli (fedelissimi tra l’altro dell’ex Vice Presidente della Camera) rappresentano quella parte del Movimento dal viso rassicurante e dall’atteggiamento moderato.
Ma una volta entrati nel nuovo esecutivo avrebbero, il condizionale è d’obbligo, dovuto aprire la porta all’altra ala del Movimento quella che per comodità possiamo dire faccia capo a Roberto Fico. Il presidente della Camera, che Di Maio pensava di limitare ingessandolo nel ruolo istituzionale super partes, non ha infatti rinunciato a recitare un ruolo nel Movimento guidando ed indirizzando la minoranza interna ed ideologicamente distante dai punti del contratto inseriti da Salvini. Il pugno chiuso esibito dal Presidente della Camera, come neanche Pietro Ingrao o Nilde Iotti avevano osato, ne dimostrano la voglia di inserirsi nel dibattito politico.
Rumors interni al Movimento denunciano un malcontento crescente nei confronti degli esponenti al Governo, rei di aver concesso ministeri chiave alla Lega ed aver ceduto su posizioni troppo estreme pur di indossare la grisaglia ministeriale.
Gli accadimenti di queste ultime ore relativi alla nave “Aquarius”, con Salvini che prende una decisione che lo accredita sempre di più verso il suo elettorato ed un M5S costretto ad abbozzare, sono benzina sul fuoco del malcontento interno ai Cinque Stelle.
D’altro canto la differenza di approccio e di esperienza tra Lega e M5S agli osservatori attenti era parsa chiara subito dopo il giuramento dei ministri.
Salvini, maniche di camicia arrotolate e subito operativo alla scrivania del Viminale, mentre Di Maio e i ministri M5S scattavano selfie in terrazza in qualche modo rapiti da quella Roma dei Palazzi che smussa gli afflati rivoluzionari e rallenta il vento del cambiamento.
Quanto potranno reggere i cinque stelle fuori dal Governo, ovvero i Fico, i Di Battista e lo stesso Beppe Grillo (dal quale ultimamente, sulla questione ILVA, Di Maio ha dovuto prendere le distanze, quasi una lesa maestà), un governo con Salvini bomber e Giorgetti regista a Palazzo Chigi?
Potranno resistere fino alle prossime elezioni europee, il primo giro di boa di questo governo.
Se il M5S di Governo, nell’occasione, dovesse registrare una sensibile flessione nella percentuale elettorale, allora Di Battista sarebbe richiamato in Patria per ricoprire il ruolo di nuovo leader, quello di lotta.
D’altro canto questa investitura è stata solo rimandata, dalla formazione in extremis del Governo che ha consentito a Di Maio e ai suoi di accomodarsi sulle poltrone ministeriali dalle quali, accada quel che accada, ormai difficilmente vorranno alzarsi. Il cambio di leader comporterebbe infatti anche un cambio di strategia, una verifica di governo sui programmi e sui ministri. Verifica che non porterebbe a nulla se non ad una crisi di Governo, perché la Lega non cederebbe sul programma e Di Maio e i suoi non cederebbero sui ministeri.
Ed ecco allora la profezia di Sgarbi.
Di Maio si trasformerebbe nel novello Alfano che per spirito di responsabilità nei confronti del Paese (ma nei fatti per resistere all’ala movimentista del suo partito), aprirebbe ad un nuovo Governo con l’ingresso dei parlamentari eletti nella coalizione di centrodestra, portando in dote i numeri necessari per raggiungere la nuova, più forte maggioranza numerica necessaria per la fiducia.
*Con questo nome scrive un noto personaggio politico che preferisce mantenere l’anonimato