Nel gioco a quattro Renzi, Gentiloni, Padoan, Mattarella vince la mediazione. La parola ora ai mercati
di Stefano Delli Colli
Non solo Eni, dunque, come era invece nelle attese. Non è stato però un caso che assieme alle liste del gruppo petrolifero per il rinnovo del cda siano arrivate anzitempo anche quelle di tutte le altre “poltrone di Stato” primaverili in scadenza (Enel, Leonardo, Poste Italiane ed Enav), compresa a stretto giro Terna via nota Cdp. Il fatto è che la “partita” sulle scelte che si è giocata tra l’ex premier, Matteo Renzi, e l’attuale, Paolo Gentiloni, assieme al ministro del Tesoro, Pier Carlo Padoan e la vigile attenzione del Capo dello Stato, Sergio Mattarella, si poteva chiudere soltanto in blocco. Con una mediazione. E così è stato.
Semmai, nonostante le attese, è sembrata rimanere un po’ in sordina, la presenza del Mise mentre, almeno per ora, non pare abbia prodotto immediati effetti la recentissima risoluzione del Senato. Per il Mef peraltro “i nominativi che compongono le liste sopra riportate sono stati individuati secondo una procedura di selezione, svolta con il supporto di primarie società di consulenza per la selezione e il reclutamento manageriale (Eric Salmon & Partners, Korn Ferry, Spencer Stuart), sulla base di criteri di professionalità e secondo prassi di uso comune di mercato”. Sarà magari un intervento parlamentare, cui il ministro Padoan sarà quasi certamente chiamato da parte delle opposizioni che già criticano pesantemente le nomine, a fornire al riguardo qualche particolare in più.
Un “petrolifero” all’Eni, un “elettrico” all’Enel. I due colossi dell’energia, con le riconferme degli attuali a.d. Claudio Descalzi e Francesco Starace (come pure dei presidenti, Emma Marcegaglia e Patrizia Grieco) prendono atto della decisione, per lo più condivisa, di evitare ulteriori scossoni al mosaico del compromesso e rafforzare le azioni già in corso nei rispettivi settori oggetto, tra l’altro, di congiunture delicate fra “transizioni” dettate dagli eventi esterni e necessità di riorientamento e diversificazione (leggi banda ultralarga per la società elettrica). Situazione che, tuttavia, non esclude possibili fibrillazioni politiche al momento della prossima decisione sul rinvio a giudizio di Descalzi per i noti fatti nigeriani.
Affatto scontata fino all’ultimo, invece, l’uscita di Matteo Del Fante da Terna per occupare la poltrona di Francesco Caio. E non tanto perché Del Fante non risulti un abile manager tra l’altro con un passato da d.g. proprio in Cdp, controllante di Poste col 35%. Quanto perché Caio, per unanime riconoscimento, aveva ottenuto buoni risultati e si apprestava a proseguire nell’operazione di privatizzazione. Più o meno la stessa unanimità di giudizio che, però, gli riconosceva un atteggiamento troppo autonomo fonte di contrasti all’interno (leggi dirigenza) e all’esterno (leggi l’ex premier).
Quanto a Terna, i cui risultati si misurano sul business regolato dall’Autorità per l’Energia, l’ingresso di Luigi Ferraris (un passato in Enel e finora a Poste – curioso per inciso il circuito elettrico-postale tra questi vertici – mentre Renzi puntava su Alberto Irace, a.d. di Acea) non dovrebbe spostare di molto la politica societaria centrata su una gestione che sappia utilizzare al meglio la remunerazione riconosciuta degli investimenti tra necessità infrastrutturali nazionali e vecchi/nuovi obiettivi all’estero.
Il tema di maggio confronto sarebbe stato piuttosto Leonardo, dove approda come a.d. Alessandro Profumo. Quasi obbligato il passo indietro di Mauro Moretti a seguito della condanna “ferroviaria” per avvenimenti che, comunque, riguardavano altra gestione, fin da quando sono cominciate le prime indiscrezioni ci si è chiesti il motivo della scelta di un banchiere (già Mps e Unicredit ora nel consiglio Eni) per la ex Finmeccanica. Scelta per la quale avrebbe premuto il Governo (Gentiloni, Padoan) con una sponda quirinalizia.
Opposte, almeno in questa fase, le versioni per così dire politico-strategiche del suo arrivo, però con un comun denominatore: la garanzia – comunque con il supporto di un forte d.g. operativo – di una importante “vetrina” internazionale. Secondo alcuni, per impostare la cessione di qualche asset del gruppo; secondo altri, all’opposto, per gestire e sviluppare al meglio quelle attività di “difesa e intelligence” che potrebbero risultare importanti nella prospettiva di un Italia che facesse parte di quel gruppo di Paesi disponibili all’Europa “a due velocità” voluta da Berlino ma non solo e che troverebbe nella “sicurezza comune” la sua prima sperimentazione concreta.
Si vedrà. Però intanto non si può non sottolineare che il compromesso si è sostanziato anche in una pressoché generale riconferma della composizione dei cda. Con aggiustamenti mirati, in parte frutto dell’uscita di Luisa Todini da Poste. In un mix di renzismo, presenze di centro e centro-destra che non potrà non aver risposto alle attese degli sempre più inevitabili equilibrismi che ormai potremmo chiamare “proporzionalistici”, alla luce del sistema elettorale sul quale si misureranno le forze politiche alle prossime elezioni.
Più forte di tutti e di tutto, tuttavia, potrà essere il prossimo giudizio delle Borse. Senza dimenticare lo svolgimento delle assemblee chiamate ad approvare i risultati di bilancio. Assemblee che negli ultimi tempi hanno riservato più di una sorpresa da parte di fondi d’investimento ed investitori esteri ormai strategicamente presenti negli azionariati. A questo ultimo riguardo non si può non sottolineare il “nazionalismo” (vogliamo chiamarlo provincialismo?) tuttora imperante nelle scelte dei vertici delle società sì di Stato ma che si misurano da tempo con le veloci dinamiche della globalizzazione dei mercati.