Una Teoria molto attuale, uno scenario in evoluzione, tante tornate elettorali
di Omar Ariu
Due dinamiche politiche ritornate prepotentemente sulla scena politica europea. O forse mai scomparse.
Nel 1957 Anthony Downs pubblicava una delle principali teorie del ‘900 sullo studio della democrazia partecipativa e degli scenari elettorali dell’Europa di quel periodo: la Teoria economica della democrazia.
Secondo questa interpretazione, gli elettori, posizionandosi al centro dello spazio politico, adottano scelte di voto moderate e centripete riducendo progressivamente la loro distanza ideologica convergendo verso il centro. Ovviamente, questa teoria faceva riferimento soprattutto agli elettori appartenenti alle due grandi famiglie politiche di fine Ottocento/inizio Novecento, i socialisti e i conservatori.
Davanti a tale scenario sembrerebbe che la teoria riportata sia del tutto fuori tempo rispetto allo scacchiere politico attuale presente un po’ in tutto l’Occidente. Ma vi è una precisazione importante da sottolineare.
Downs specificava anche che, con questo movimento elettorale tendente al “moderatismo”, lo spazio di competizione si sarebbe progressivamente ridotto e che nel corso del tempo sarebbero riemersi movimenti sempre più “radicali” o “populisti”, sia in America (il suo paese natio) che in Europa.
Questo breve antefatto teorico ci aiuta a capire che i recenti soggetti politici e i rispettivi leader che si stanno affacciando con insistenza nei vari sistemi politici nazionali non sono poi così tanto inusuali rispetto agli andamenti storici e politici recenti.
Donald Trump, il neo eletto presidente degli Usa, incarna perfettamente lo sviluppo di questo fenomeno ma è probabilmente solo l’espressione più emblematica dello stesso. Un processo che fa ritornare in auge le ideologie novecentesche di destra e di sinistra con diverse sfaccettature. E il 2017 potrebbe mostrarcelo ancora più chiaramente.
In Germania, da più di dieci anni sotto la guida di Angela Merkel e della sua Cdu, i Socialisti finora non sono riusciti a sviluppare una propria forza politica autonoma in grado di imporsi come reale alternativa ai conservatori tedeschi, sebbene di recente la comparsa di Martin Schulz sembra stia cambiando il panorama. Dal 2013 è in costante crescita un movimento di estrema destra, populista e antieuropeista “Alternative fur Deutchland”, guidato da Frauke Petry, che è già riuscito ad entrare in 10 Parlamenti su 16 diventando di fatto il terzo partito, e si appresta secondo i sondaggi a diventare un outsider molto rilevante alle prossime elezioni.
La Francia farà i conti con una Marine le Pen in costante ascesa e, secondo numerosi osservatori ed esperti, probabile vincente alle elezioni previste tra aprile e maggio. I suoi toni anti-immigrati, euroscettici e fortemente nazionalisti e identitari hanno fatto breccia in quella parte di elettorato illuso dalla destra gollista ma anche dalla sinistra più radicale a cui la le Pen strizza l’occhio sui temi di previdenza e giustizia sociale.
La famiglia socialista, però, in costante perdita di consensi, si è mossa in maniera speculare virando sul radicalismo rappresentato dall’ex ministro Benoit Hamon il quale è riuscito a sconfiggere alle primarie l’attuale premier Manuel Valls, puntando su un linguaggio di sinistra ben distinguibile e che ha saputo smuovere la passione dei tanti elettori sfiduciati.
Se aggiungiamo il fatto che anche i Repubblicani con Francois Fillon – il quale è riuscito a sconfiggere sia Nicolas Sarkoszy che il moderato Alain Juppè – utilizzeranno un vocabolario anti-establishment, la Francia sarà un interessante caso studio da analizzare ad urne chiuse.
Ma non solo Germania e Francia: in Olanda secondo i sondaggi uno dei soggetti politici favoriti alle elezioni del prossimo marzo è il Partito delle Libertà di Geert Wilders, anch’esso populista antislamico ed euroscettico.
Inoltre, altri Paesi che hanno registrato le medesime tendenze elettorali, seppure con tutte le peculiarità dei rispettivi casi.
In Spagna ad esempio il movimento di sinistra radicale Podemos guidato da Pablo Iglesias è stato capace in poco tempo di affermarsi nello scenario politico iberico, accanto ai due storici partiti popolare e socialista che si sono alternati al governo dal post Franchismo in avanti. Alle elezioni del 2016, Podemos ha ottenuto oltre il 21% dei voti diventando la terza forza politica del paese.
Stesso andamento in Grecia dove Alexis Tsipras, con la sua Syriza e le annesse ricette politiche fortemente keynesiane, è riuscito addirittura a vincere le ultime due difficili e delicate elezioni politiche che lo hanno portato alla guida del governo (con l’appoggio tra l’altro di un partito radicale di destra).
Dati elettorali, quelli delle future elezioni che si terranno nei prossimi mesi in importanti Paesi europei, che ci permetteranno di affrontare lo studio e le valutazioni ponderate su due tendenze politico – sociali, quella radicale e quella populista, tutt’altro che marginali nella scena politica europea dei nostri giorni.