La Ue dopo la Brexit, ma non solo. Cinque scenari da qui al 2025
di Mara Carro
“Le celebrazioni di marzo a Roma non saranno solo il compleanno dell’Europa ma la nascita dell’Unione Europea a 27”. Jean Claude Juncker e l’Ue sono pronti a voltare pagina dopo la Brexit, ma per scrivere un nuovo capitolo della storia europea, ha osservato lo stesso Juncker, è tempo di rispondere a una vecchia domanda: “Quo vadis Europa a 27?”
Nel “Libro Bianco sul futuro dell’Ue: le strade per l’unità nella Ue a 27” presentato ieri, 1° marzo, al Parlamento europeo per avviare il dibattito in vista del vertice di Roma, il presidente dell’Esecutivo comunitario ha illustrato non uno, ma cinque possibili scenari futuri per i 27 Stati membri ormai orfani del Regno Unito.
Scenari che vanno dall’ipotesi numero uno, “Avanti così”, a un’Europa “Solo mercato unico”, opzione gradita ai Paesi dell’Europa orientale, al “Chi vuole di più fa di più”, suggerito recentemente da Angela Merkel, al “Fare meno in modo più efficiente”, fino allo scenario più ambizioso: “Fare molto di più insieme”. Scenario, quest’ultimo, che descrive quell’Europa federalista che forti resistenze incontra ovunque ma alla quale il Parlamento Ue è pronto da tempo, avendo votato, nella seduta plenaria di febbraio, tre risoluzioni per l’introduzione di un Ministro delle Finanze dell’Eurozona, di una specifica capacità fiscale della zona euro e di una riforma del Consiglio dei Ministri dell’Ue. “Quell’Unione federale di Stati dotata di ampie competenze” alla quale hanno fatto appello, in una lettera aperta pubblicata sul quotidiano La Stampa, i presidenti dei Parlamenti nazionali di Italia, Francia, Germania, Lussemburgo. Per l’Italia, la firma è quella del presidente della Camera Laura Boldrini.
Di tutti e cinque gli scenari proposti dal Presidente della Commissione, il più realistico sembrerebbe il terzo: “Chi vuole di più fa di più“, che è un altro modo per dire che l’Ue sarà a più velocità o a geometria variabile, per consentire a quei Paesi che lo vogliono di procedere più velocemente verso una maggiore integrazione in settori chiave come la difesa, la sicurezza interna o le questioni sociali.
Un’Europa a più velocità non è un’idea nuova e nei fatti esiste già con Schengen, la zona euro e la cooperazione in materia giudiziaria, ma dopo le elezioni tedesche del 24 settembre potrebbe diventare la norma.
A sdoganare l’espressione è stata Angela Merkel, in corsa per il quarto mandato da Cancelliera.
In occasione del Consiglio europeo a Malta del 3 febbraio, la Merkel ha parlato di un’Europa “con differenti velocità”, spiegando che “non tutti parteciperanno ogni volta alle procedure di integrazione”. Dichiarazioni, che hanno ottenuto il placet di Francia, Italia e dei tre Paesi del Benelux.
Il cambio di atteggiamento di Berlino è una diretta conseguenza dell’elezione di Donald Trump. Sulla scia del referendum britannico, la Germania aveva inizialmente dato la priorità a mantenere l’unità dei 27, temendo una disgregazione dell’Ue. La svolta si è materializzata dopo l’insediamento del presidente Usa, che ha elogiato la Brexit, criticato l’Ue e la politica commerciale e migratoria dei tedeschi.
La Commissione Ue è naturalmente consapevole che un’Ue a più velocità è uno scenario lontano dal ricevere il sostegno degli Stati che non adottano l’euro e in particolare della Polonia, Paese che non ha alcuna intenzione di aderire alla moneta unica nel prossimo futuro e che, assieme all’Ungheria, guida il Gruppo di Visegrad dei paesi orientali dell’Unione, favorevoli sì a una riforma dell’Ue ma timorosi di essere esclusi dal gruppo di testa.
Il 25 marzo il Libro bianco sarà ufficialmente consegnato ai 27 Governi comunitari a Roma, con l’invito a fornire un loro contributo all’Europa di domani. Stesso discorso vale per il Parlamento Ue, i Parlamenti nazionali, le rappresentanze regionali e locali e la società civile. La Commissione vuole essere all’ascolto, ha detto Juncker, astenendosi dal palesare la sua preferenza ma annunciando una serie di documenti di riflessione sulla dimensione sociale dell’Ue, sull’approfondimento dell’unione economica e monetaria, sul futuro della difesa europea e un programma di dibattiti pubblici “nelle città, nelle regioni, ovunque in Europa” sul futuro del nostro continente.
Juncker sa che il 2017 è un anno di appuntamenti elettorali decisivi in Olanda, Francia e Germania, e che il futuro dell’Europa e il suo personale si giocano nei mesi a venire. Queste sono le ragioni che lo spingono a voler contribuire a delineare il futuro dell’Ue per il prossimo decennio, anche nella speranza di mettere a tacere le voci sulle sue possibili dimissioni e riprendere l’iniziativa in un momento di estrema incertezza su quale direzione intraprendere per contrastare il crescente euroscetticismo e far fronte alle molteplici sfide che attendono i 27, tra cui la crisi dell’Eurozona, l’avvio della Brexit, la questione dei migranti, il conflitto ucraino e il confronto con l’Amministrazione Trump.