Pubblicata la “graduatoria” dei media che gli italiani utilizzano per informarsi: continua l’ascesa dei canali innovativi ma in fatto di attendibilità la TV rimane regina
di Alessandro Alongi
Nel panorama dell’informazione italiana, a sorpresa, la radio è il mezzo ritenuto più affidabile. Grazie anche alle trasmissioni radiofoniche via internet o smartphone, i radioascoltatori toccano quota 79,3%, a cui fa da contraltare la flessione dei telespettatori tradizionali a vantaggio degli utenti dei servizi video digitali (come ad esempio Netflix o Infinity) che vedono aumentare il proprio successo, specie tra i giovani under 30.
Sono queste soltanto alcune considerazioni contenute nell’ultimo Rapporto sulla comunicazione del Censis, presentato giovedì scorso a Roma. Tra i punti di maggiore rilevanza il trend in ascesa della digitalizzazione della società italiana: gli internauti passano dal 75,2% al 78,4% (con una differenza positiva del 3,2% rispetto allo scorso anno e del 33,1% rispetto a dieci anni fa); quelli che utilizzano gli smartphone aumentano del 4,2% (dal 69,6% al 73,8%, dieci anni fa li usava solo il 15% della popolazione); gli utenti dei social network sono il 72,5% della popolazione: sul podio delle community WhatsApp (usato dal 67,5% degli italiani), Facebook (56%) e YouTube (51,8%). Continua la crescita di Instagram (26,7%), in particolare tra i giovanissimi (55,2%), mentre Twitter continua la sua discesa, ormai giunta al 12,3%.
Le tradizionali fonti di informazione, quotidiani cartacei in testa, continuano a dimostrare i segni di una crisi che pare ormai irreversibile: la stampa quotidiana, che nel 2007 era letta dal 67% degli italiani, oggi si attesta al 37,4%. Vanno meglio i giornali online, che nello stesso periodo hanno incrementato l’utenza dal 21% al 26%. Stabili, invece, i settimanali e i mensili (rispettivamente al 30,8% e 26,5%). Crisi dell’editoria anche in relazione ai libri: si legge sempre di meno e, di anno in anno, gli italiani lasciano i volumi sugli scaffali per dedicarsi ad altro. Il Censis fotografa bene questa “fuga dai libri” che ha portato in dieci anni ad una contrazione della lettura: dieci anni fa il 59,4% degli italiani aveva letto almeno un libro nell’anno, cifra che si è ridotta al 42% nel 2018. Non decollano nemmeno gli e-book, letti dall’8,5% degli italiani.
Se, da un lato, i nuovi media digitali prendono il sopravvento sulle tradizionali filiere dell’informazione, non si può dire la stessa cosa in fatto di “affidabilità” riguardo ai contenuti trasmessi online: gli italiani sembrano diffidenti da quanto si trova in rete, continuando a prediligere i telegiornali, che rafforzano la loro funzione di informazione di massa (la loro utenza passa dal 60,6% del 2017 al 65% del 2018), mentre i social perdono consenso, spinti anche dal dilagare delle fake news e dai recenti scandali Cambridge Analytica: nell’ultimo anno Facebook ha subito una brusca battuta d’arresto (-9,1% di utenza a scopi informativi), Twitter (-3%) e, in generale, tutti quanti i motori di ricerca (-7,8% di utenza a fini informativi).
A pesare sulla fiducia degli utenti l’uso, non sempre trasparente, dei dati personali da parte dei social network (il 59% degli utenti si dice molto preoccupato), un Paese spaccato in due tra coloro che vivono nell’ambiente digitale senza particolari timori e chi affronta invece il tema con diffidenza verso i nuovi fenomeni della rete: cyber bullismo, hate speech e diffamazioni online rappresentano le maggiori preoccupazioni da parte degli internauti.
Sugli aspetti “patologici” della rete gli italiani hanno le idee chiare: secondo il 42% della popolazione la diffusione di comportamenti violenti in rete rappresenta il principale problema dell’era digitale, seguito dalla protezione della propria privacy (41,5%), la manipolazione dell’informazione (40,4%), le frodi telematiche (35,%%) e la concentrazione del potere nelle mani dei giganti della rete (21,3%).
L’ultima parte del rapporto è stata dedicata al modo in cui i media condizionano l’umore degli italiani, singolare rappresentazione del potere delle fonti di informazione sulla formazione della coscienza critica del Paese: i dati ci consegnano un Paese arrabbiato, disorientato e pessimista. E non basterà un like in più a invertire, almeno nel breve, questa tendenza.