Si lavora al DL. Con la creazione delle Zone Economiche Speciali l’Esecutivo proverà a dare consistenza ad una ripresa che tarda ad arrivare
Un grande piano di sviluppo industriale capace di coinvolgere imprese e territori del Sud con l’obiettivo di creare ricchezza e sviluppo tramite interventi geograficamente mirati. È questo, almeno nelle intenzioni del Governo Gentiloni, lo scopo delle “Zone Economiche Speciali” (ZES), distretti territoriali ad investimenti incentivati, da individuare nelle aree più depresse del Mezzogiorno. Si riaffaccia, nel dibattito politico di questi giorni, dunque, la sempiterna idea delle “zone franche”, spazi liberi da tasse e gabelle, corroborati da incentivi economici per le imprese che decideranno di investire.
Questa iniziativa allo studio segue la scia del “bonus sud”, l’esonero contributivo sulle assunzioni nel meridione varato a gennaio e i cui risultati sono stati particolarmente apprezzati dalla compagine di governo: 55.620 assunzioni in appena cinque mesi. Anche in forza di ciò il Governo è intenzionato a rilanciare l’attenzione ai territori più disagiati dello stivale, con un’iniziativa maggiormente strutturata.
In realtà, la costituzione di speciali zone a trattamento fiscale privilegiato non rappresenta una novità nello scenario politico, ma probabilmente adesso i tempi sono maturi per dare concretezza alle ZES in un apposito decreto in corso di stesura a Palazzo Chigi. Fonti non ufficiali parlano di un possibile arrivo del testo già nel Consiglio dei Ministri previsto per venerdì insieme all’elenco dei distretti privilegiati: il porto di Gioia Tauro, le aree retroportuali di Napoli e Salerno, insieme a Bagnoli, la cui riqualificazione è da sempre una spina nel fianco.
In generale, dunque, saranno istituite «no tax aree» capaci di attrarre investimenti in Campania, Puglia, Sicilia, Calabria e Basilicata. Proprio in quest’ultima regione potrebbe essere considerata zona speciale l’area di Matera, che sarà capitale della cultura nel 2019 e il cui territorio soffre la mancanza di capitali industriali. Ma l’azione del governo potrebbe spingersi al di là della linea Gustav, ipotizzando di allargare i benefici ZES anche all’area dell’Expo di Milano, così come richiesto a forza dal comune meneghino.
Nei piani del Governo, le imprese che decideranno di investire in una ZES potranno beneficiare, oltre alle esenzioni dalle aliquote contributive (a sostegno dell’occupazione), anche dei vantaggi fiscali collegati al reddito dell’impresa e ad un complessivo alleggerimento burocratico. Naturalmente a delle precise condizioni che assicurino stabilità all’insediamento, in corso di definizione nel testo allo studio.
Le ZES non sono una novità italiana. Nel mondo se ne contano più di 2.700, con Cina e Dubai a fare la parte da leone. In Europa, stando ai dati forniti dalla SVIMEZ durante una recente audizione alla Camera, le zone speciali sarebbero una settantina, 14 delle quali istituite solo in Polonia, e i cui risultati in termini di ricadute occupazionali e crescita del prodotto interno lordo sono senza dubbio incoraggianti.
I nodi da sciogliere per i tecnici dell’esecutivo, però, sono molteplici. A partire innanzitutto dalle coperture di bilancio e soprattutto dalla compatibilità di tale misura con la normativa comunitaria in tema di aiuti di stato, entrambi fattori che potrebbero stroncare sul nascere le ZES. Ma anche la gestione dei finanziamenti e delle politiche industriali legate agli insediamenti produttivi. Lo spauracchio di una riedizione della Cassa per il mezzogiorno, infatti, agita la maggioranza che sarà chiamata a convertire il decreto del Governo una volta giunto in aula. Sempre se ci sarà ancora una maggioranza, viste le ultime vicissitudini legate alla nuova legge elettorale. E a farne le spese potrebbe essere ancora una volta il Sud, sempre presente nelle intenzioni della politica ma assente alla prova dei fatti.